L’epoca 4.0 porta con sé nuovi bisogni esistenziali e richiede l’adozione di un nuovo linguaggio. Chi davvero vuole farci i conti sul piano politico, è chiamato al coraggio del rinnovamento istituzionale, di un nuovo posizionamento, di alleanze inedite. I cambiamenti non sono tutti uguali: a volte consentono solo nuove possibilità, altre volte favoriscono scenari totalmente nuovi e talora richiedono l’adozione di nuovi atteggiamenti. Quando si è autorizzati a parlare di cambiamento “epocale”?

Quando esso determina un nuovo sistema di relazioni fra gli individui e fra ogni individuo e la società nel suo complesso. É ad esempio il caso della domesticazione del fuoco, grazie alla quale si potè fare luce, riscaldarsi, difendersi, disinfettare, spostarsi in terre più fredde. Di certo, in questo caso, il cambiamento fu appunto “epocale” e certamente richiese l’adozione di atteggiamenti inediti da parte di ciascuno e di ogni comunità.

Non ce ne rendiamo pienamente conto, ma il cambiamento in atto grazie alla globalizzazione e alla rivoluzione digitale, ha una portata analoga, anch’esso impatta sul sistema di relazioni e anch’esso richiede l’adozione di nuovi atteggiamenti.

Noi che viviamo il tempo della transizione, godiamo del privilegio di aver vissuto un’epoca e di poterne sperimentare una nuova. Si tratta di cosa ben rara, riservata a pochissime generazioni. Questo privilegio contiene però un prezzo da pagare: adeguarsi all’epoca 4.0 non è così scontato e comporta il superamento di nuovi bisogni esistenziali.

C’è chi risponde demonizzando il nuovo tempo e difendendosi da esso: è la risposta neo-populista. Essa è trasversale rispetto allo schema destra/sinistra ed è così sintetizzabile: l’epoca 4.0, caratterizzata dai processi di globalizzazione e digitalizzazione, è ricca di insidie. Essa conferisce un crescente potere alle élite e all’establishment e determina un progressivo impoverimento del popolo.

Il conflitto sociale, quindi, non si dipana più attraverso un conflitto fra classi, ma attraverso il conflitto fra l’alleanza dei poteri forti e i popoli. Anche i processi migratori vanno letti in quest’ottica; sono funzionali infatti a estendere le masse da sfruttare a vantaggio delle élite. Occorre quindi difendersi e restituire il maltolto ai popoli sovrani, in fondo i soldi basta stamparli e voilà il reddito di cittadinanza, quota 100 e ogni sorta di contributo “gratuito”.

Si tratta di una risposta miope, dettata dalla paura dell’incertezza, ma è comunque una risposta attraente ed è una risposta che, come richiede la nuova epoca, propone un nuovo linguaggio e scardina i vecchi steccati delle vecchie categorie politiche.

Giorno dopo giorno, diventa sempre più necessaria l’elaborazione di una narrazione alternativa a quella bi-populista, ma all’orizzonte non si vede granché, anzi il più delle volte si finisce per negare le ragioni neo-populiste senza però proporre le proprie o proponendo quei paradigmi e linguaggi novecenteschi che la nuova epoca ha sbattuto in cantina.

C’è chi sogna infatti di rispondere alla proposta bi-populista riproponendo lo schema novecentesco delle tre principali famiglie politiche, quella socialdemocratica, quella liberale e quella popolare. Si tratta di una risposta del tutto illusoria e sostanzialmente irrealizzabile, giacché la proposta neo-populista, trasversale rispetto allo schema destra/sinistra, è appetibile per qualunque elettore, indipendentemente dalle sue appartenenze passate. In sostanza, il sistema democratico non ha bisogno di un terzo polo, ha bisogno di un “secondo polo” che proponga una narrazione (esistenziale prima che politica) alternativa, anch’essa trasversale rispetto allo schema destra/sinistra, anch’essa caratterizzata da un nuovo linguaggio.

Chi si rendesse protagonista dell’elaborazione di tale proposta, potrebbe proporsi alla guida del cambiamento in atto. Cosa significherebbe concretamente? Significherebbe innanzitutto agire politiche volte a favorire la possibilità da parte di ogni individuo di cogliere le opportunità della nuova epoca. Ciò implicherebbe la necessità di affermare i valori funzionali a tali politiche, a partire dal valore della libertà e responsabilità individuale. Tutto ciò non sarebbe possibile senza mettere mano al patto fondativo della nostra comunità, la Costituzione. Essa è del tutto inadeguata nella sua seconda parte e del tutto inattuale nella prima.

Coerentemente con quanto richiesto dal quadro geo-politico del tempo, nacque sulla base di concessioni reciproche e compromessi fra il mondo cattolico e quello comunista. L’impianto catto-comunista della Costituzione italiana, ha permeato la società italiana: chi più chi meno, chi più consapevolmente, chi meno, siamo tutti almeno un po’ catto-comunisti. L’impianto ha retto per un po’, ma oggi, di fronte alle sfide dell’epoca 4.0, è divenuto del tutto insostenibile. Chi guidasse l’alternativa al bi-populismo, dovrebbe quindi proporsi alla guida del rinnovamento costituzionale e istituzionale. Con quali alleati? Di certo, non con gli eredi di quei mondi politici che hanno dato vita alla costituzione catto-comunista che siamo chiamati a superare.

Per questa ragione, chi guidasse l’alternativa al bi-populismo, dovrebbe avere il coraggio di alleanze inedite per dare vita, questa volta per davvero, alla Seconda Repubblica. Ca va sans dire che uno sgangherato cartello elettorale che tenga maldestramente insieme ex-PD ed ex-Radicali con un pizzico di sedicenti “veri liberali”, rappresenterebbe una risposta vecchia e perdente. Fra gli attuali protagonisti politici, l’unico dotato dell’arguzia necessaria è Matteo Renzi. Dovrebbe però recidere nettamente e definitivamente ogni residuo di cordone ombelicale con la cultura politica della cosiddetta sinistra, più o meno riformista, in quanto superata dai tempi.

La cosa non è scontata. Dovrebbe poi tenere la barra dritta sulla visione a lungo termine, cosa non banale per un fuoriclasse della tattica. Dovrebbe poi fare i conti con i tanti catto-comunisti più o meno consapevoli che popolano il suo stesso partito. Insomma il percorso è lastricato di ostacoli e vincoli impegnativi, ma si può fare. L’atteggiamento che adotterà in occasione della candidatura di Cappato nel collegio lasciato vacante per la morte di Berlusconi ed anche in occasione delle prossime elezioni europee, dirà qualcosa in tal senso.

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Esperto di leadership e talento, ha pubblicato diversi saggi con Sperling & Kupfer, Guerini e Feltrinelli, alcuni dei quali tradotti in più lingue fra cui il coreano e il giapponese. In qualità di executive coach, ha formato centinaia di manager dei principali gruppi industriali italiani e ha lavorato al fianco di alcuni fra i più affermati allenatori di calcio e pallavolo.