«Donald Trump è e rimane l’uomo dei dazi». David Boling, direttore del Commercio con Giappone e Asia di Eurasia Group, commenta l’ondivaga gestione delle politiche economiche portata avanti dal presidente americano durante i primi giorni del suo secondo mandato.

Boling, cosa ne pensa dell’inversione di rotta di Trump sui dazi?
«La recente volatilità del mercato e le previsioni che i dazi possano stimolare l’inflazione hanno spinto Trump a ricalibrare la propria politica tariffaria, ma lui rimane l’uomo dei dazi, quindi, non si tratta di una vera e propria inversione di rotta: punta ancora a rimodellare radicalmente la politica commerciale statunitense. Il suo esperimento economico è appena iniziato».

Teme che le politiche economiche adottate da Donald Trump possano portare a uno scenario di recessione generale?
«È certamente un rischio che molti economisti stanno evidenziando. La politica tariffaria di Trump è una grande scommessa a causa dei potenziali effetti negativi sull’economia statunitense».

Uno studio pubblicato dalla CNBC ha smentito le proiezioni di Trump sul reshoring, evidenziando i rischi di un raddoppio dei costi e dei prezzi dei prodotti e la marginalità dell’impatto sull’occupazione. È d’accordo?
«Molti economisti si chiedono se i dazi di Trump riporteranno il settore manifatturiero negli Stati Uniti, ma gli studi economici non muteranno la risoluzione del presidente statunitense. Ha mantenuto le sue opinioni sui dazi fin dagli anni ‘80: fanno parte del suo DNA. È convinto che i dazi funzioneranno».

La Cina è l’unica potenza ad essersi fermamente opposta ai dazi annunciati dal presidente degli Stati Uniti. Come potrebbe questo ampliare la competizione tra Washington e Pechino?
«Entro il 2025 le relazioni tra Stati Uniti e Cina si incrineranno. A Washington, la Cina è vista come una minaccia sia militare che economica. Questa visione è diventata mainstream tra Democratici e Repubblicani e non cambierà tanto presto».

Pechino sembra rivolgersi con maggiore decisione ai suoi vicini del Sud-Est asiatico. Sta forse cercando di creare un’alternativa al “bullismo unilaterale degli Stati Uniti”?
«Fa parte della strategia di Pechino: quando le relazioni tra Stati Uniti e Cina peggiorano, quest’ultima di solito cerca di migliorare le relazioni con i suoi vicini, che, tuttavia, sono abituati a questo tipo di approccio. Probabilmente non avrà grandi effetti. Questo perché, sebbene i Paesi del Sud-Est asiatico siano scontenti dei dazi statunitensi, desiderano comunque che gli Usa facciano da contrappeso all’aggressiva condotta militare della Cina nella regione».

I negoziati tra Washington e l’Unione Europea sono iniziati. Ritiene che porteranno a dei risultati sostenibili?
«Non vi sono stati praticamente progressi nei negoziati commerciali tra Stati Uniti e Ue, quindi è difficile essere ottimisti. Washington e Bruxelles cercano da tempo di risolvere annose controversie commerciali. I dazi sono solo l’inizio. Persistono molte altre questioni – come le tasse sui servizi digitali, gli standard e i sussidi – che le precedenti amministrazioni statunitensi hanno cercato di risolvere con l’Unione Europea, e tutti questi sforzi sono falliti. I risultati non sono promettenti».

Ritiene che ci troviamo di fronte a un cambiamento degli equilibri internazionali e dei rapporti di forza?
«L’amministrazione Trump non è più disposta a rispettare molte delle regole consolidate che gli Stati Uniti hanno contribuito a creare dopo la Seconda Guerra Mondiale. Trump ritiene di avere ricevuto dal popolo americano il mandato di cambiare le relazioni commerciali e le relazioni estere degli Stati Uniti con molti Paesi, indipendentemente dal fatto che siano alleati o nemici».