Lui fa come se nulla fosse. Attacca Draghi sulle armi al grido “no escalation” pur sapendo che rischia di diventare un disco rotto perché le escalation, ammesso che ci siano, non le decide certo il governo italiano. Alza la bandiere grilline nel tour della campagna elettorale: ieri a Palermo ha visitato la casa di don Puglisi al grido “mai ambiguità contro la mafia” e si schiera al fianco di lavoratori a rischio come quelli di Almaviva promettendo “non vi lasceremo soli”. Il repertorio è noto e Giuseppe Conte lo interpreta da leader di un Movimento politico che nelle urne domenica e lunedì misurerà il suo vero peso specifico.

Non una parola però sul fatto che su 981 comuni al voto il M5s presenta liste solo in 64 città. Un po’ poche per essere, come giustamente rivendica Conte, “il partito di maggioranza relativa in Parlamento”. La verità è che, al di là della recita elettorale, oggi inizia per il Movimento un periodo di tre settimane in cui tutto può accadere. L’unica certezza è che dopo nulla potrà più essere come prima. Nel bene. O nel male. Il Movimento ne potrebbe uscire rafforzato. O disintegrato. Una tempesta perfetta. In quattro tempi che il destino concentra tra oggi e il 26 giugno.

La sentenza
Il primo tempo della “tempesta perfetta” si manifesta stamani, 7 giugno. Dopo le 14 la settima sezione del Tribunale di Napoli si esprimerà circa una serie di ricorsi che 8 ex iscritti 5 Stelle hanno presentato contro l’elezione di Giuseppe Conte, l’adozione del nuovo statuto e le cariche successivamente dispensate. Tutte operazioni passate da una votazione on line (non più Rousseau ma Skyvote) regolarmente certificata ma viziata in origine sia dall’uso stesso di un sistema diverso da Rousseau che dalla composizione, illegittima secondo i ricorrenti, del corpo elettorale. Più una serie di contestazioni lunga 45 pagine. Ci sono alcune perle: Giuseppe Conte, ad esempio, la sera del 23 marzo 2022 è stato designato “primo presidente dell’associazione” con un whatsapp inviato dal garante Grillo.

Lo statuto del Movimento, approvato per la seconda volta il 12 marzo (dopo una prima clamorosa bocciatura sempre del Tribunale di Napoli che a febbraio aveva congelato nomine, vertici e attività politica), prevede che “il primo presidente dell’associazione” sia “indicato dal Garante”, cioè da Grillo, e che la designazione sia poi messa ai voti online. Insomma, nulla a che vedere con l’ok via whatsapp. Oltre che la votazione, anche la designazione quindi è farlocca secondo l’avvocato Lorenzo Borrè che da ex 5 Stelle, conosce a memoria lo spirito e le intenzioni del Movimento. Che non sono quelle attuali. Il senso delle motivazioni dei ricorrenti – gli ex 5 Stelle Steven Brian Hutchinson più altri sette ex grillini, tutti assistiti dall’avvocato Borrè – ruota intorno alla convinzione che “le delibere sono state impugnate in quanto macroscopicamente illegittime e frutto di una concezione della gestione del potere che ha in spregio i più elementari principi democratici: da quello di parità dei diritti degli associati a quello del rispetto delle regole statutarie (a tacer di quello di trasparenza dei processi decisionali), così come attesta la pluriennale biografia giudiziaria del decisionismo verticista della casta interna al M5S, culminata nel colpo di mano qui trattato”. Ovverosia l’elezione di Giuseppe Conte alla guida del Movimento. Anzi, la bis elezione visto che quella dell’agosto 2021 era stata a sua volta annullata dallo stesso Tribunale.

Congelato per 3-4 mesi, a febbraio 2022 Conte, con l’ok di Grillo, aveva riorganizzato truppe, piattaforme digitali e regole. A marzo la nuova consultazione on line. Anche questa però finita tra le maglie dell’avvocato Borrè convinto che i motivi del ricorso “questa volta sono ancora più forti dell’anno scorso proprio perché forti delle motivazioni dall’anno passato”. Oltre all’ “ok” del garante Grillo via whatsapp, mancano verbali, decreti di nomina, le convocazioni del voto sarebbero illegittime. Tutto nelle 25 pagine di “Note autorizzate” dei sette ricorrenti e nelle 45 pagine che compongono il ricorso. “Il 7 giugno dice Borrè – il vero nodo del confronto sarà quello tra due impostazioni contrapposte: visione democratica contro vocazione autocratica, diritti di tutti contro potere di pochi, assemblearismo contro decisionismo plebiscitario, elezione aperta contro cooptazione chiusa. È questa la vera partita in gioco e si basa su chiare norme di diritto costituzionale e associativo, quelle invocate dai ricorrenti”.

21 giugno: l’atteso voto su Draghi
Se la decisione è attesa oggi (dopo le 14), le motivazioni – il pezzo più importante – dovrebbero arrivare entro i quindici giorni successivi (20 giugno). Si tratta della vigilia di una terza data segnata in rosso nel calendario privato dei 5 Stelle. Il 21 giugno Mario Draghi terrà le comunicazioni previste in vista del Consiglio Ue del 23 e 24 giugno. Quel giorno il premier spiegherà – saremo al giorno 118 dell’invasione russa in Ucraina – quale è la strategia dell’Italia nell’ambito del piano di azione deciso da Unione europea e Nato. Ovverosia, Draghi non potrà che ripetere quelli che sono stati i tre punti fermi dell’azione di governo di questi primi cento giorni: sostenere anche con l’invio di armi la resistenza ucraina; percorrere tutte le strade della diplomazia per cercare una soluzione pacifica al conflitto; nel frattempo insistere con le sanzioni, vero strumento di pressione sul Cremlino. Una linea che il Presidente Mattarella ha ribadito con parole chiarissime in occasione delle celebrazioni per la Festa della Repubblica. E però da un mese e mezzo, come noto, Conte e Salvini non si riconoscono più in questa linea.

Annusato un sentiment nazionale che vuole la pace soprattutto perché la guerra, oltre che distruzione e morte, porta con sé un caro vita insostenibile, hanno iniziato a sollevare questioni non meglio definite e ad attaccare il governo Draghi, di cui fanno parte entrambi, dicendo che deve sottoporsi più o meno una volta alla settimana al voto del Parlamento che deve condividere ed approvare la linea di indirizzo politico. Torna all’opera l’asse giallo-verde che aveva già dato segni di vita per l’elezione del Presidente della Repubblica. Da un mese e mezzo cerca il voto dell’aula. Il 21 giugno sarà finalmente la volta buona. Se Salvini e Conte lo vorranno, avranno la forza numerica per “sfiduciare” il governo. Dipende da cosa riusciranno a scrivere in quella risoluzione e sa avrà la maggioranza dei voti. Avranno i due leader il coraggio di andare fino in fondo e sfiduciare il governo così come lasciano intendere le loro dichiarazioni?

I risultati dell’election day
Molto dipende anche da come i due leader arriveranno all’appuntamento del 21. Perché in mezzo c’è l’election day del 12 giugno, il quarto elemento della tempesta perfetta. Sarà difficile dare una lettura organica del voto delle amministrative: il Movimento si presenta in 64 comuni su 971 al voto (poco più del 6%) e ha scelto la strada delle maggioranze variabili: a volte con il Pd, a volte con la sinistra estrema, mai da solo.

Il combinato disposto di sentenza avversa a Napoli e numeri bassi alle amministrative sembra essere la premessa di un cambio della guardia radicale alla guida del partito. Smentito in tutti i modi e in tutte le sedi. Un’altra ipotesi vede l’ex premier Conte uscire dalla maggioranza con il seguito di una sessantina di parlamentari e mettersi all’opposizione (o in appoggio esterno) per affrontare a mani libere la campagna elettorale per le politiche. Conte avrebbe già un proprio simbolo (Con Te) che potrebbe trovare posto nel campo largo di Letta. Il Movimento resterebbe nelle mani di Fico, Di Maio e Grillo e la parte più governativa. Tutte ipotesi. Occorre aspettare le quattro date. E seguire gli eventi.

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Giornalista originaria di Firenze laureata in letteratura italiana con 110 e lode. Vent'anni a Repubblica, nove a L'Unità.