Trentotto giorni di tempo per trovare un accordo commerciale con l’Unione Europea dopo la Brexit. E’ questo l’ultimatum del primo ministro britannico Boris Johnson all’Ue che in assenza di un’intesa è intenzionato a proseguire con la linea dura e ad “andare avanti”. A riportare la notizia è il Telegraph, aggiungendo che il premier farà personalmente questa dichiarazione nelle prossime ore. Inoltre il quotidiano precisa che Johnson intende chiarire che il Regno Unito “non può e non intende fare compromessi sui principi fondamentali di ciò che significa essere un Paese indipendente”.

L’ACCORDO – Dopo l’uscita del Regno Unito dall’Unione Europea lo scorso 31 gennaio, il rimbalzo di accuse sull’accordo del libero commercio sembrano non essere mai terminate. Se da un lato il premier inglese specifica che un accordo sarebbe possibile solo se i negoziatori dell’Ue fossero disposti a “ripensare le loro attuali posizioni”, per contro l’Ue accusa la Gran Bretagna di non riuscire a negoziare seriamente. I colloqui sembrano infatti essere ad un punto morto, con l’Unione Europea intenzionata a trovare un punto di incontro prima di novembre. Mentre Boris Johnson rilancia spingendo a fissare per il 15 ottobre la scadenza per trovare un’intesa. La separazione non è soltanto politica ma abbraccerà anche il lato economico. Al termine del periodo di transizione di 11 mesi, il 31 dicembre, il Regno Unito infatti lascerà anche il mercato unico e l’unione doganale dell’Ue.

“Se non avremo trovato un accordo per quella data, non vedo come sarà possibile raggiungere un’intesa di libero scambio tra di noi. Dovremmo entrambi accettarlo e andare avanti”, avrebbe dichiarato il premier. Stando alle indiscrezioni riportate da Bloomberg, a breve Johnson confermerà all’Unione europea la sua intenzione di lasciare i negoziati senza accordo piuttosto che scendere a compromessi su quelli che vede come i principi fondamentali della Brexit. Per di più, si legge ancora nelle indiscrezioni, il suo governo avrebbe già preparato una nuova legislazione per tutelare Londra in mancanza di un accordo di divorzio firmato con l’Ue.