Verso le comunali
Candidati sindaci, il centrodestra non ci mette la faccia e si affida ai civici

Un ticket a Roma per non scontentare nessuno e onorare il Cencelli del centrodestra. L’imprenditore Damilano a Torino, una storia senza suspense. Milano è ancora casella vuota, che è la cosa più grave vista che la capitale del nord dovrebbe anche essere la capitale della Lega. Bologna e la Calabria, questione di giorni. Sembrano tanti personaggi in cerca di autore la galleria di candidati sindaci che escono dopo settimane dal tormentato brainstorming dei leader del centrodestra. O magari, invece, tra di loro c’è proprio il Mr Wolf travestito da “civico” e che nel ruolo di sindaco farà vedere cose che voi umani non immaginereste mai. Un po’ come doveva fare Virginia Raggi. Al di là di come andrà a finire, il centrodestra ha deciso di non mettere la faccia nelle prossime elezioni amministrative che invece, per la portata e il calibro della città al voto, sono un test politico e di capacità di governare di alto livello.
Insomma, tanto tuonò che piovve sul vertice del centrodestra. E infatti ha tuonato e piovuto per davvero ieri pomeriggio mentre i leader dei partiti di centrodestra – Salvini, Meloni, Tajani, Lupi, De Poli, Toti e Quagliariello – erano chiusi negli uffici dei gruppi alla Camera per l’atteso verdetto. Per la Capitale è uscito il ticket già annunciato: Enrico Michetti e Simonetta Matone, professore di diritto amministrativo e tribuno della radio il primo, ex presidente del Tribunale dei minori e volto noto della tv la seconda. Michetti è stato lanciato un mese fa con un sondaggio, che allora parve un po’ telefonato, da Giorgia Meloni. Quando fece il suo nome la prima volta ci fu chi pensò a uno scherzo, “Michetti chi?”. I suoi supporter, il giro di una radio romana molto ascoltata, lo avevano però già issato sul cavallo di Giulio Cesare in piazza del Campidoglio immaginando vittorie e successi. “È l’uomo giusto al posto giusto” ha ripetuto spesso Meloni, “il Mr Woolf dei sindaci, vedrete vi stupirà”. Una scelta coraggiosa, che non ha convinto tutta la base e neppure lo stato maggiore di Fdi. Ma che Meloni ha difeso e portato fino in fondo.
La dottoressa Matone è la portabandiera di Forza Italia, donna, giudice, stimata. Strano mix col Professore che è anche direttore della Gazzetta amministrativa. E forse c’avrà anche visto giusto Meloni nel lasciar perdere il mainstream e affidarsi all’istinto. Un’operazione se vogliamo un po’ grillina. Ma tant’è. Se dovesse andare male, “la colpa” sarà tutta sua. Non le saranno fatti sconti. Soprattutto da Salvini e dalla Lega cui tocca indicare il candidato sindaco di Milano ma ancora non ha deciso fra “tre quattro nomi importanti”. Alla fine potrebbe tornare in auge il nome di Maurizio Lupi, fondatore di “Noi per l’Italia”. Così come a Bologna potrebbe avere voglia di tentare il colpaccio l’ex direttore del Quotidiano nazionale Andrea Cangini di Forza Italia. La sensazione, al di là delle parole d’ordinanza, è che il centrodestra sarà pure unito e prossimo alla federazione ma non è stato capace di scelte coraggiose e politiche per dare il sindaco alla capitale politica e a quella imprenditoriale del paese. Tre possibili spiegazioni.
La prima: le amministrative sono elezioni di serie B da tamponare con qualche candidato perché quello che conta è solo la corsa a palazzo Chigi. Diciamo la verità: la Lega ma soprattutto Fratelli d’Italia che nella regione Lazio ha il bacino di voti più numeroso, erano in grado di esprimere candidature forti e difficili da battere. Gli stessi Meloni e Salvini, oppure Crosetto e uno dei sindaci lombardi e leghisti con esperienza alle spalle. Potevano e non l’hanno fatto. “Andiamo sui civici”, hanno detto quasi subito. Che detto da un politico suona come un’ ammissione di sconfitta. La seconda: paura di vincere, di metterci la faccia e quindi di doversi misurare con la macchina burocratica del governo di una città e magari ammettere il fallimento. Il tutto, più o meno, andrebbe a coincidere con il voto politico del 2023. A cui Lega e Fdi vogliono arrivare in forza e con pieni poteri. Non azzoppati, magari, da qualche inchiesta. La terza: la mancanza di nomi validi, la carenza di classe dirigente spendibile in palcoscenici internazionali come sono Milano e Roma.
I commenti a caldo ovviamente sono stati di tutt’altro tono. Soddisfatta Meloni: «I sondaggi hanno mostrato che funzionano bene insieme, sono due straordinari professionisti che ringraziamo per essersi messi a disposizione della capitale: faremo rinascere Roma dopo il disastro di Virginia Raggi». Tranquillo Salvini: «Non conoscevo Michetti, mi ha colpito la sua concretezza. Ora l’obiettivo è vincere al primo turno». Quasi spavaldo Tajani: «È la migliore soluzione per vincere». Ma dietro la vernice della parola magica “unità”, il quadro nel centrodestra è teso e rancoroso. Nella partita del Copasir, sbloccata ieri dopo quasi quattro mesi di trattative, è stato eletto Adolfo Urso (Fdi) dopo aver costretto alle dimissioni il leghista Raffaele Volpi.
La Lega è furiosa, tanto che non ha partecipato al voto. Il centrosinistra sarà diviso ma almeno ha deciso da tempo. Il centrodestra è così diviso che ha deciso per ultimo. Facendo arretrare la politica. Eppure, come è stato fatto notare in questi giorni, entrambe le città godono di due tesoretti che darebbero lustro ad ogni amministratore con un minimo di coraggio e dedizione, civico o politico che sia: Milano avrà le Olimpiadi invernali; Roma avrà il Giubileo nel 2025 e la legge speciale che, tramite il Recovery farà arrivare sulla Capitale un sacco di soldi. Insomma fare il sindaco in queste città è paragonabile, nei prossimi anni, al ruolo di primo ministro e/o ministro economico.
Un’altra suggestione ignorata è che negli ultimi trent’anni, il Campidoglio è stata un’ottima palestra per allenare la leadership: Rutelli, Veltroni, Gentiloni, lo stesso Fini e poi Tajani e Sassoli. Almeno per la Capitale, le carte sono in tavola e i giochi possono iniziare. I delusi del centrodestra, che ci sono, avranno comunque un nome su cui puntare: Carlo Calenda.
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