«La legge per i nemici si applica, per gli amici si interpreta», era solito dire Giovanni Giolitti per descrivere l’usanza di rielaborare le norme a seconda delle convenienze del momento. A distanza di oltre un secolo, l’aforisma dello statista piemontese è quanto mai attuale per il Csm, sulla carta il luogo che dovrebbe garantire l’imparzialità, l’autonomia e l’indipendenza dei magistrati. L’ultimo caso di interpretazione “ad togam” riguarda le regole sugli incarichi direttivi dei magistrati. In particolare la nomina del nuovo procuratore di Perugia. Ruolo importantissimo in quanto competente sui reati dei colleghi romani. Ad iniziare da quelli eventualmente commessi dall’ex presidente dell’Anm Luca Palamara nello scandalo nomine che terremotò il Csm lo scorso maggio.

In pole position c’è Raffaele Cantone, l’ex zar anticorruzione: in Commissione direttivi questa settimana ha superato tre voti a due lo sfidante Luca Masini, procuratore aggiunto di Salerno. Per Cantone ha votato il collega Mario Suriano, e i laici Alberto Maria Benedetti (M5S) e Michele Cerabona (FI). Per Masini, Piercamillo Davigo e Loredana Miccichè, togata di Magistratura indipendente. Astenuto il togato di Unicost Michele Ciambellini. Il voto della Commissione ha scatenato ieri la furia di Davigo che, con i tre esponenti del suo gruppo, ha diramato un comunicato violentissimo per ricordare a tutti che il magistrato napoletano non ha titoli per aspirare a quell’incarico essendo anni che non entra in un’aula di Tribunale.

L’ultima volta, infatti, che Cantone ha indossato la toga da pubblico ministero era il mese di ottobre del 2007.
Romano Prodi era il presidente del Consiglio dei ministri e Clemente Mastella il ministro della Giustizia. Cantone, fino ad allora, aveva trascorso tutta la carriera come pm a Napoli. Nel 2007 il trasferimento al Massimario della Corte di Cassazione e, nel 2014, la nomina a presidente dell’Anac, incarico ricoperto fino allo scorso ottobre quando decise, prima della scadenza del mandato, di fare rientro a piazza Cavour.

Luca Masini, magistrato dello stesso concorso di Cantone, è invece sempre stato in Procura. Neppure un giorno fuori ruolo. Da cinque anni, come detto, è procuratore aggiunto a Salerno. Il Testo unico della dirigenza prevede che vadano favoriti negli incarichi di vertice i magistrati che hanno sempre svolto attività giurisdizionali e non chi abbia lavorato nei Ministeri o altrove. Tale disposizione fino al voto pro Cantone dell’altro giorno è sempre stata puntualmente applicata dal Csm. Ora, per Cantone, la piroetta.

La presa di posizione di Davigo rischia di rompere la “pax correntizia” all’interno del Csm dopo il caso Palamara. La vicenda che aveva costretto alle dimissioni cinque consiglieri aveva creato un’alleanza fra i davighiani e la sinistra giudiziaria. Alleanza “anomala” in quanto i davighiani sono quasi tutti ex appartenenti, Davigo per primo, alla destra giudiziaria di Magistratura indipendente da cui fuoriuscirono in disaccordo con la leadership di Cosimo Ferri. Un’alleanza di potere in quanto su temi come prescrizione, carcere, diritti, le differenze fra i davighiani e le toghe di Magistratura democratica sono abissali.

Sul fronte dei laici, Cantone potrà contare sui tre consiglieri in quota M5S. Masini sui due della Lega. Probabile spaccatura, invece, in Forza Italia. «Per riacquistare la credibilità il Csm deve passare per la coerenza delle scelte»: l’avviso “ai naviganti” di piazza Indipendenza da parte di Davigo. Dopo Pasqua, il voto finale in Plenum.