Che carcere è quello di Santa Maria Capua Vetere due mesi dopo la svolta nelle indagini sui pestaggi subiti dai detenuti nell’aprile 2020 e dopo la visita del premier Mario Draghi e della ministra della Giustizia Marta Cartabia? Come si vive nelle celle dell’orrore e in quelle degli altri reparti? Che segni ha lasciato la pandemia e tutto quello che è accaduto? Che significato ha lì la pena? L’Osservatorio regionale dell’associazione Antigone, a fine luglio, ha compiuto un viaggio nell’istituto di pena casertano e nei giorni scorsi ha diffuso la relazione.

L’attenzione si è concentrata sulla vita all’interno della struttura che, sebbene sia tra le più recenti del panorama penitenziario campano (risale al 1996), ha molte criticità. Due su tutte: manca una rete idrica (dopo decenni di attesa si è parlato nei mesi scorsi del via ai lavori) ed è molto vicina a un impianto di trattamento dei rifiuti solidi urbani. I fatti di aprile 2020, con tutte le conseguenze giudiziarie che ne sono derivate, hanno inevitabilmente lasciato un ulteriore segno. E così il carcere di Santa Maria Capua Vetere, con i suoi circa 900 reclusi, è apparso come un luogo alla ricerca di un nuovo equilibrio, in camino verso un difficile ritorno alla “normalità” se di normalità si può davvero parlare.

«Come per ogni altra struttura detentiva del Paese, la casa circondariale di Santa Maria Capua Vetere ha subìto una rimodulazione di spazi e prassi interne in conseguenza dell’epidemia di Covid caratterizzata da un generale irrigidimento delle misure e una compressione ulteriore delle libertà della popolazione detenuta», sottolineano Paolo Conte, avvocato penalista, e Marco Colacurci, ricercatore in Diritto penale presso l’università Vanvitelli, entrambi componenti dell’Osservatorio sulle condizioni di detenzione di Antigone per la Campania. «È evidente – aggiungono – che ogni tentativo di analisi del fenomeno debba necessariamente fare i conti con i gravi fatti occorsi il 6 aprile 2020, tornati prepotentemente al centro del dibattito pubblico del Paese». «In tale scenario – osservano – tentare di tracciare il confine tra gli strascichi degli eventi del 6 aprile 2020 e le conseguenze “ordinarie” della pandemia, già di per sé discrezionali e disorganiche in tutto il Paese, è operazione particolarmente problematica».

L’istituto di Santa Maria Capua Vetere è risultato tra quelli che in Campania «sta incontrando maggiori difficoltà al ripristino di una quotidianità detentiva pre-pandemia». A eccezione di poche sezioni, i reparti che prima della pandemia erano in regime di celle aperte sono stati convertiti, sin da aprile 2020, al regime di celle chiuse, i passeggi e la socialità sono stati riorganizzati sulla base di un sistema di turnazione e gruppi ristretti di detenuti, mentre i colloqui in presenza sono stati da mesi ripristinati anche se molti detenuti continuano a optare per le videochiamate.

«Nonostante si registri una lenta ripresa delle attività trattamentali – affermano i componenti dell’Osservatorio di Antigone nella relazione sulla loro visita nel carcere sammaritano – le persone detenute sono state costrette a fare ritorno al triste passato di un regime esclusivamente custodiale dove l’ozio forzato in spazi angusti e sovraffollati, la sospensione di attività culturali e lavorative, la forzata assenza di educatori già in grave carenza di organico e in rotazione per smartworking e la limitazione dei contatti con gli affetti familiari è probabilmente concausa del cospicuo aumento di suicidi e atti di autolesionismo, di aggressioni nei confronti di altri detenuti e del personale di polizia penitenziaria, di scioperi della fame, di provvedimenti di isolamento disciplinare». Ed ecco che a Santa Maria Capua Vetere il ritorno alla normalità appare più lento che altrove e la pena sembra convergere verso una prospettiva «assolutamente distante – concludono i rappresentanti di Antigone – da qualsiasi prospettiva risocializzante e compatibile con il dettato costituzionale».

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Napoletana, laureata in Economia e con un master in Marketing e Comunicazione, è giornalista professionista dal 2007. Per Il Riformista si occupa di giustizia ed economia. Esperta di cronaca nera e giudiziaria ha lavorato nella redazione del quotidiano Cronache di Napoli per poi collaborare con testate nazionali (Il Mattino, Il Sole 24 Ore) e agenzie di stampa (TMNews, Askanews).