Il premier nella prigione dei pestaggi
Da Santa Maria Capua Vetere un SOS a Draghi: più educatori e psicologi per un nuovo modello di carcere
Ora lo Stato vuol dimostrare di esserci. Il presidente del Consiglio Mario Draghi e il ministro della Giustizia Marta Cartabia visiteranno, oggi pomeriggio, il carcere dei pestaggi. Direzione Santa Maria Capua Vetere, casa circondariale “Francesco Uccella”. Gli alti rappresentanti del governo vedranno con i propri occhi i luoghi dove la sera del 6 aprile 2020 si è scatenato l’inferno, dove centinaia di agenti della polizia penitenziaria, secondo il resoconto di una tempestiva inchiesta della Procura, hanno picchiato e umiliato centinaia di detenuti, dove in quattro ore si sono oltrepassati parecchi limiti e si sono calpestati diritti, regole, dignità.
In quel luogo ci sono le macerie di un modello di carcere che ha mostrato tutte le sue carenze e le sue criticità, e forse ideologicamente è da lì che si deve partire se si vuole evitare un nuovo caso Santa Maria Capua Vetere e se si vuole davvero fare in modo che la pena torni nei confini della funzione rieducativa che la Costituzione prevede. In quest’ottica la visita del presidente Draghi e del ministro Cartabia potrebbe avere un forte valore non solo simbolico ma anche concreto. Si vedrà… Intanto l’inchiesta sui pestaggi va avanti seguendo il suo naturale iter giudiziario. In questi giorni le posizioni dei 52 indagati destinatari di misure cautelari sono al vaglio dei giudici del Tribunale del Riesame. Ieri, in particolare, si è discussa la posizione di Anna Rita Costanzo, il commissario capo della polizia penitenziaria, responsabile del reparto Nilo, cioè del reparto dove il 6 aprile 2020 fu disposta la perquisizione straordinaria sfociata nei violenti pestaggi ripresi dalle telecamere del circuito di sorveglianza interno al carcere.
Quei video hanno shoccato e indignato chiunque li abbia visti, e ora sono al cuore delle accuse che la Procura di Santa Maria Capua Vetere muove, a diverso titolo, a 117 indagati, fra agenti penitenziari, loro superiori e vertici dell’amministrazione penitenziaria. In quei video c’è anche la Costanzo, manganello alla mano, come i suoi colleghi ritenuti coinvolti nelle violenze avvenute nel carcere. Costanzo, che dal 28 giugno è agli arresti domiciliari per effetto dell’inchiesta, tramite il suo difensore (avvocato Vittorio Giaquinto), ha chiesto una revoca della misura cautelare. A novembre 2020, quando l’inchiesta della Procura era nel pieno dell’attività investigativa, Costanzo si presentò spontaneamente per chiarire agli inquirenti la propria posizione e ora spera in una scarcerazione per carenza di esigenze cautelari e gravi indizi. La Procura invece la indica fra i presunti organizzatori della perquisizione straordinaria che costrinse 192 detenuti del reparto Nilo a uscire dalle proprie celle e percorrere scale e corridoi sotto le botte e i pestaggi di agenti in tenuta antisommossa. Costanzo respinge questa accusa, mentre c’è qualche detenuto che la ricorda in quelle ore di inferno a impartire ordini senza fermare la mattanza.
I giudici del Riesame stanno valutando le posizioni degli indagati sulla base di tutti gli elementi che sono agli atti dell’inchiesta, una mole di atti notevole se si considera che ci sono oltre 6500 pagine di informative, più il materiale prodotto dai vari difensori. E mentre l’iter giudiziario prosegue (pendono anche i ricorsi che la Procura ha presentato contro la decisione del gip di negare gli arresti ad alcuni indagati), il carcere continua ad essere al centro del dibattito. Il garante regionale dei detenuti, Samuele Ciambriello, ha incontrato ieri il presidente dell’Ordine degli psicologi della Campania, Armando Cozzuto. Al centro del confronto le criticità del pianeta carcere e le annose carenze di personale destinato ad assistere e guidare i detenuti nel percorso di responsabilizzazione e rieducazione.
«Occorre realizzare una mappatura dei professionisti che operano sul campo» ha affermato Ciambriello che da tempo segnala la mancanza di educatori e psicologi all’interno degli istituti di pena campani e chiede alla politica interventi concreti. Il ruolo degli psicologi nelle carceri si rivela fondamentale, in quanto lo stress di chi vive e di chi lavora negli istituti penitenziari è sempre più un’emergenza e lo dimostrano l’aumento dei suicidi e degli atti di autolesionismo. L’esplosione di violenza che si è registrata nel carcere di Santa Maria Capua Vetere con i pestaggi ad opera degli agenti della polizia penitenziaria ripropone l’attenzione anche su questi temi. Temi che proprio a inizio giugno erano stati al centro di un’iniziativa promossa dall’ufficio del garante regionale: due workshop realizzati presso gli istituti penitenziari di Poggioreale e Secondigliano dall’associazione Akira per discutere e approfondire il fenomeno del burnout con un particolare riferimento alle peculiarità del lavoro degli operatori penitenziari.
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