A Santa Maria Capua Vetere sono arrivati ieri gli ispettori inviati dal ministro della Giustizia Marta Cartabia e dal Dap in vista di un’indagine amministrativa finalizzata a fare luce sui «malfunzionamenti» nella catena di comando del 6 aprile 2020, giorno che si concluse con quella ormai nota perquisizione straordinaria definita dal gip Sergio Enea «un’orribile mattanza». Sempre ieri la Procura sammaritana ha trasmesso- su richiesta del Dap – altri atti, precisando che prima d’ora ogni trasmissione di atti e/o informazioni era preclusa da segreto d’indagine. Ormai è aperto il canale di comunicazione tra autorità giudiziaria e Ministero e proprio sulla scia del volere della Cartabia di «una verifica a più ampio raggio», il Dap ha fatto anche richiesta di tutti quei profili che, seppur non indagati, devono essere esaminati per eventuali valutazioni amministrative o disciplinari.

Sul fronte giudiziario, si registra la prima scarcerazione concessa dal gip che ha accolto l’istanza presentata dall’avvocato Rossana Ferraro, legale dell’agente Angelo Bruno, 55 anni, per il quale lo scorso 28 giugno aveva disposto il carcere. Il giudice ha attenuato la misura cautelare e emesso un obbligo di dimora dopo l’analisi della documentazione che attesta problemi di salute, tali da aver spinto l’amministrazione penitenziaria a riformare il poliziotto nel marzo 2021. Bruno è fuori dal Corpo, per questo motivo è venuto meno il pericolo di reiterazione del reato che aveva spinto il gip a disporre la carcerazione preventiva per l’agente. Ha respinto invece ogni addebito l’ex comandante della Polizia Penitenziaria Gaetano Manganelli durante l’ interrogatorio di garanzia davanti al gip che aveva disposto nei suoi confronti gli arresti domiciliari. Manganelli, difeso dall’avvocato Giuseppe Stellato, ha spiegato al gip di non essere stato tra coloro che hanno «gestito, diretto e organizzato» la perquisizione straordinaria del 6 aprile 2020 e ha aggiunto di non essere mai ripreso nei video.

Se, come vi abbiamo raccontato ieri, il clima all’interno del carcere è un po’ più tranquillo, fuori la tensione rimane alta: uno striscione denigratorio contro la polizia penitenziaria è apparso ieri a Pozzuoli. Si tratta del quarto caso, dopo quello di Roma e i due di Cagliari dei giorni scorsi. Manifestazioni di disprezzo che hanno spinto il provveditore reggente Carmelo Cantone, subentrato ad Antonio Fullone, indagato, a consigliare ai poliziotti di recarsi in servizio con abiti civili e non in divisa, per evitare eventuali e probabili spiacevoli conseguenze. In allarme, ormai da diversi giorni, tutti i sindacati della Polizia penitenziaria che, dopo quasi 8 giorni di pressione, invitano politica e media ad abbassare i toni. Se a portare indirettamente ai fatti gravissimi del 6 aprile era stata la paura che il covid 19 si diffondesse nelle carceri, oggi quel timore sta venendo sempre più meno grazie alle vaccinazioni: sono 58.057 le dosi di vaccino somministrate ai detenuti presenti nelle carceri italiane, rende noto il ministero della Giustizia. Ad essere avviati alla vaccinazione sono invece 23.062 poliziotti penitenziari e 2.595 unità tra il personale dell’amministrazione.

Si continua a ragionare su cosa si possa fare per evitare che violenze come quelle che hanno coinvolto diverse carceri lo scorso anno possano ripetersi. Per il professor Cesare Mirabelli, giurista, ex presidente della Corte Costituzionale, «occorre costruire un disegno riformatore complessivo, composto da varie tessere» tra cui l’amnistia: «Non c’è mai una misura unica che consenta di risolvere problemi così complessi. Ci troviamo in una situazione patologica se si considerano gli atti che sono stati commessi in un contesto carcerario che vive una situazione di sofferenza. L’amnistia può essere utile per sfollare le carceri ma sarebbe come la tachipirina quando si ha la febbre. Si tratta di un rimedio provvisorio, che, peraltro, richiede un quorum parlamentare per la votazione molto elevato, il voto favorevole dei due terzi dei componenti di ciascuna Camera. Non so se al momento ci sia una maggioranza che la possa adottare ma sarebbe più facilmente accettata dall’opinione pubblica, generalmente non favorevole a questi atti di clemenza, se fosse uno dei capitoli di un mosaico di riforma più strutturato».

Nel dettaglio, per Mirabelli, bisognerebbe agire su più direzioni: «Sicuramente prevedere una migliore azione formativa degli agenti penitenziari e una migliore organizzazione degli istituti di pena. Non dimentichiamo che gli agenti fanno la stessa vita dei detenuti, il loro è un lavoro pesante. Occorre poi intervenire sulla carcerazione preventiva, la cui percentuale nel nostro Paese è molto alta. Inoltre chi è in attesa di un giudizio definitivo non dovrebbe stare nei settori ordinari di carcerazione, ma in istituti appositi e con sistemi di custodia diversi, attenuati. E infine bisognerebbe potenziare le misure alternative al carcere, abbandonando una visione carcerocentrica della pena».

In ultimo quattro considerazioni su quanto accaduto nel carcere sammaritano il 6 aprile 2020: «Chiunque è nella disponibilità o in custodia detentiva dello Stato deve vivere in sicurezza. L’uso della forza, della quale ha il monopolio lo Stato, deve trovare regole e adeguata giustificazione, deve essere proporzionata rispetto alla necessità che c’è di stabilire l’ordine. Come più volte ha segnalato la Corte Costituzionale, l’essere detenuti non priva né della dignità né dei diritti fondamentali. La finalità della pena deve essere quella rieducativa e mai può offendere la dignità e l’integrità della persona».