La “lettera aperta” pubblicata recentemente su Il Riformista dall’architetto Cesare Burdese, da tempo consulente del Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria, affronta la grave situazione delle carceri italiane ormai resa drammatica. Il documento indirizzato ai ministri Nordio e Salvini e quindi anche al Dap, dalle pagine del giornale lamenta l’arretratezza degli interventi sulle carceri, e riguarda la decisione che il ministro della Giustizia dovrebbe prendere sul modello Genova per sciogliere il nodo gordiano se ristrutturare le carceri preesistenti o costruirne di nuove. La testimonianza volta all’attenzione di ben due ministri così come è stata congegnata parte da una prima asserzione riguardante le «…questioni irrisolte che appartengono alla nostra edilizia penitenziaria: i tempi biblici necessari per la realizzazione di un carcere e i limiti culturali che ne caratterizzano la vicenda progettuale…».

Per prudenza metodologica è appena il caso di osservare che qualora esistessero effettivi limiti culturali e altre questioni irrisolte, le diverse problematiche potrebbero essere meglio risolte proprio all’interno delle diverse compagini consulenziali chiamate dal Dap e partecipanti ai Tavoli tecnici e nelle Commissioni. L’architetto tiene a informare i ministri che «…più volte, nel corso dell’ultimo decennio, sono stato seduto ai tavoli tecnico-consultivi ministeriali, organizzati sulle questioni carcerarie ed in particolare sull’architettura penitenziaria…» e in forza di ciò, tiene a precisare che «…meno problematiche, sotto il profilo temporale, apparirebbero le ristrutturazioni delle carceri esistenti, che richiederebbero però una più matura e chiara visione delle soluzioni progettuali ed una programmazione strategicamente concertata…».

Nella lettera aperta purtroppo non si menziona quanto fu a suo tempo studiato, per volontà del presidente Di Gennaro, il problema dell’edilizia penitenziaria sulla base di una approfondita quanto fondamentale ricerca compiuta dai tecnici del Ministero della Giustizia nel lontano 1997 con lo studio “Repertorio del patrimonio edilizio penitenziario in Italia”. A confutare la pretesa originalità riguardante l’attualità del problema del recupero degli edifici, viene a sostegno anche quanto emerso ufficialmente nel più recente Seminario di Udine del maggio di quest’anno “Carcere: Ripartire dalla Costituzione” che sgombra in modo risolutivo il dubbio in merito alle più opportune azioni da intraprendere sulla preesistenza edilizia.

Occasione quella del convegno nella quale uno dei relatori, l’architetto Leonardo Scarcella coautore insieme all’architetto Daniela Di Croce del sopra citato Repertorio, a chiare lettere nella sua relazione stigmatizzava: «…Fu così avviata ed effettuata un’attenta ricerca di archivio e un censimento “sul campo” dei dati di funzionamento degli istituti in attività così come di quelli ormai inattivi e degradati. Tutto questo materiale ha consentito la redazione del primo (ed unico) “Repertorio del patrimonio edilizio penitenziario italiano”, tre volumi in cui sono stati catalogati ben 219 complessi edilizi (di cui attivi 193) e individuate sette tipologie edilizie ripartite secondo l’epoca di costruzione e i finanziamenti operati dai diversi Governi post-unitari: dagli istituti definiti “storici” (alcuni dei quali addirittura di epoca medioevale) edificati per altre funzioni ed adattati a carcere, alle carceri di epoca pre-unitaria e via discorrendo sino al 1997…».

Ma il punto più significativo della relazione di Leonardo Scarcella, presentata a Udine nel maggio del 2022 e che scioglie definitivamente il quesito, dimostrando la consolidata attenzione tecnica (e culturale) del Ministero della Giustizia, riguarda proprio l’importanza del recupero delle preesistenze edilizie anche all’interno dei centri urbani consolidati. Infatti: «…oggi, come ieri, appare evidente l’utilità per l’Amministrazione di conservare il patrimonio immobiliare storico posto all’interno del tessuto urbano, sia per poter fronteggiare eventuali e specifiche esigenze logistiche che, come l’esperienza ha insegnato, emergono nel corso del tempo, sia per realizzare di fatto quella “differenziazione” di trattamento e degli istituti prevista dall’Ordinamento che dal 1975 regola l’attività penitenziaria italiana…».

A sostegno ulteriore di questa tesi, ormai da molti decenni culturalmente acquisita nel sistema tecnico e professionale degli architetti e degli urbanisti esperti in materia di edilizia penitenziaria e non solo, è appena il caso di menzionare anche alla precisa attenzione del Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria, al fine di ampliare la riflessione intorno al problema, il contributo di AA. VV. nei seguenti volumi che trattano in modo organico e sistemico la tematica in oggetto: “L’universo della detenzione, storia, architettura e norme dei modelli penitenziari” – Mursia ed. 2011 e “Non solo carcere, storia e architettura dei modelli penitenziari” – Mursia ed. 2016, di cui chi scrive è stato curatore e coautore. In finale, dato che il problema del più corretto approccio metodologico al recupero del patrimonio edilizio preesistente è ampiamente da tempo studiato, rimane ora ai più alti responsabili capire quanto sia fondamentale in questo momento consentire un dibattito il più articolato ed aperto possibile sul problema delle carceri avvalendosi anche di diversi contributi dei vari esperti in materia finora inascoltati.