Ill.mo On. Carlo Nordio, ministro della Giustizia, e ill.mo On. Matteo Salvini, ministro delle Infrastrutture e Mobilità sostenibile
confidando nella Loro capacità di ascolto, sottopongo alla Loro attenzione, attraverso questa lettera non personale ma pubblica, due questioni irrisolte che appartengono alla nostra edilizia penitenziaria: i tempi biblici necessari per la realizzazione di un carcere e i limiti culturali che ne caratterizzano la vicenda progettuale. L’idea di farlo nasce in me dall’ipotesi, avanzata dalla stessa Primo Ministro in carica e da alcuni autorevoli esponenti della sua coalizione di governo, di varare prossimamente un nuovo “Piano carceri”, dando l’idea che la costruzione di nuove carceri sia un modo efficace e pressoché tempestivo per fronteggiare il sovraffollamento nei nostri istituti penitenziari.

Quell’ipotesi crea aspettative che certamente andranno deluse dal momento che le condizioni attuali, nelle quali si troverà chi dovrà realizzarla, porteranno inevitabilmente a qualcosa di meno. Da molto tempo mi occupo di architettura penitenziaria, come architetto progettista e ricercatore. Più volte, nel corso dell’ultimo decennio, sono stato seduto ai tavoli tecnico-consultivi ministeriali, organizzati sulle questioni carcerarie ed in particolare sull’architettura penitenziaria. Ritengo mio dovere pertanto evidenziare pubblicamente, a chi governa congiuntamente le sorti dell’edilizia penitenziaria nazionale, il quadro di una situazione oggettivamente spinosa, a fronte di dichiarazioni di pubblico dominio, in totale assenza di attenzione da parte di chi di opere pubbliche e di architettura si occupa.

Loro ben sanno come nel nostro Paese, per realizzare e mettere in funzione un nuovo carcere, occorrono non meno di dieci/quindici anni, sempre che si possa portare a termine l’opera avviata. Le attuali vicende edificatorie “al palo” dei nuovi carceri di Bolzano, Nola, San Vito al Tagliamento, Casale Monferrato, lo confermano. Meno problematiche, sotto il profilo temporale, apparirebbero le ristrutturazioni delle carceri esistenti, che richiederebbero però una più matura e chiara visione delle soluzioni progettuali ed una programmazione strategicamente concertata. Tra le primarie cause delle tempistiche occorrenti, sembrerebbero esserci le norme che regolano la costruzione delle opere pubbliche che, piene di ostacoli, di fatto spesso rallentano e rendono incerto l’iter progettuale e la realizzazione dell’opera.

Loro sanno che, per sopperire a tali criticità, nel recente passato ci si è avvalsi del commissariamento dell’intero settore dell’amministrazione penitenziaria preposto all’edilizia carceraria. Soluzione però che non ha dato i risultati auspicati, mortificando qualsiasi buona intenzione e rendendo vane le promesse. Nel settore delle infrastrutture stradali, nel caso della ricostruzione del Ponte di Genova, si è adottato con successo il commissariamento della singola opera. Chiedo Loro di approfondire la convenienza o meno di adottare una simile metodologia anche per le infrastrutture penitenziarie, e se positiva di adottarla in occasione di ogni nuova edificazione. Rimedi deflattivi alternativi a costruire il nuovo, lascerebbero comunque aperta la questione, ogni qual volta si presentasse la necessità di farlo. Come Loro hanno potuto constatare nelle visite effettuate, tangibile è l’inadeguatezza degli ambienti di vita e di lavoro delle nostre carceri, vecchie o nuove che siano, rispetto all’essere umano, con i suoi bisogni materiali, psicologici e relazionali.

La conseguenza è quella di luoghi che impediscono ogni possibilità di crescita che arricchisce, monotoni, uniformi, paralizzanti nella loro deprivazione sensoriale ed emozionale, dove il costruito invalida, rende incerti, scoraggia, mina e reprime, anziché convalidare, rassicurare, incoraggiare, sostenere, favorire. Certamente la mancanza di tali requisiti positivi risulta maggiormente contraddittoria negli istituiti penitenziari realizzati dopo la riforma dell’ordinamento penitenziario del 1975 e sino ai giorni nostri. Tale circostanza deriva dalla progettazione delle nostre carceri che si caratterizza per arretratezza metodologica e culturale. Vogliano considerare che oltre alla carenza di dotazioni spaziali ed al degrado fisico delle strutture, necessita mettere mano alla miseria architettonica dell’edificato derivante dalla fase progettuale, in contrasto con i valori etici e sociali di un’esecuzione penale giusta e utile.

I requisiti di umanità e di funzionalità penitenziaria trattamentale, che l’edificio carcerario contemporaneo deve possedere, richiedono un diverso approccio progettuale. Chiedo pertanto Loro di potenziare gli sforzi sino ad ora fatti dai precedenti governi, per sopperire ad un tale stato di cose. Pur sempre nella convinzione dell’uso del carcere come extrema ratio, rimane prioritario l’obbligo di entrare in una ottica nuova per la progettazione dell’edifico carcerario. Chiedo Loro di considerare la necessità di coinvolgere in tale attività, oltre agli architetti, tutte le dovute figure professionali che concorrono all’esecuzione penale della nostra Costituzione e dell’ordinamento penitenziario. Il mio auspicio è che queste due questioni possano entrare nel novero delle priorità delle Loro agende ministeriali, se mai già non lo fossero, e che in questo modo si attivino al più presto le azioni risolutive più opportune.