Libertà limitata e diritti negati. Reati vecchi e nuovi. Primi passi verso una democratura o forse no: soltanto una democrazia autoritaria. Parliamo delle prime mosse (e dei primi scivoloni) del governo Meloni con il Professor Luigi Manconi, già docente di sociologia dei fenomeni politici ed ex parlamentare.

Manconi, ha presente quando Ortega y Gasset quando diceva: “Stava succedendo che non capivamo cosa stava succedendo”? Le vorrei chiedere una mano per scongiurare questa condizione. Che succede all’Italia conquistata da Giorgia Meloni?
Secondo me avviene una cosa chiarissima. Davanti all’enormità dell’impegno che devono affrontare e già in difficoltà rispetto alle misure economico-sociali che devono assumere, hanno scelto la via più facile: intervenire sui processi che formano l’opinione pubblica. Cioè sui meccanismi che contribuiscono a determinare il senso comune. Ed emerge questa ambizione di Giorgia Meloni, che a mio avviso era già visibile in alcuni messaggi precedenti, come quelli contenuti nel suo discorso di insediamento, nel cambiamento dei nomi dei ministeri e infine da queste ultime misure: l’ambizione di lasciare una traccia per così dire culturale. Giorgia Meloni appartiene a quel ceto politico-culturale che ritiene che in Italia abbia dominato e domini l’egemonia culturale della sinistra e il politically correct. E dunque si pone l’obiettivo di rovesciarne il segno. Di lasciare un’impronta nei processi di formazione della mentalità collettiva. Questo suo esordio è tutto concentrato su questo progetto.

Di posizionamento tattico più che di strategia?
È in parte opportunismo, in parte una strategia. Vuole rafforzare il suo rapporto con l’elettorato ma con l’aspirazione a produrre un mutamento ideologico. Cioè a definire una fisionomia del suo governo capace di contrastare quel fantasma rappresentato dalla presunta egemonia della politically correct, che in realtà è questione che riguarda solo una minoranza. L’aspetto tattico c’è, perché il provvedimento sui rave piace al suo elettorato, però se lo vediamo insieme a tanti altri messaggi, o al fatto di ripetere ossessivamente “Nazione”, cancellando la parola Paese e ignorando la parola Repubblica, possiamo considerarlo come parte di uno stesso programma di riscrittura culturale.

Anche la neolingua, come aveva previsto Orwell…
Anche la neolingua fa la sua parte, certo. Ma quando lei mi chiede cosa sta succedendo, io vedo un altro elemento: se mettiamo insieme oltre a quanto abbiamo appena detto anche il reintegro dei sanitari no-vax e l’abolizione del tetto al contante, a mio avviso viene fuori un altro aspetto molto interessante: una componente che definirei di anarchismo di destra e di libertarismo reazionario. Che come noto negli Stati Uniti ha un notevole seguito e che in Italia si è manifestato particolarmente durante la pandemia.

È il seme del trumpismo, la stessa radice.
Sì, il trumpismo ha anche questa componente forte, tra le sue leve. Questa componente di libertarismo reazionario, insofferente alle regole, concentrato su l’individualismo proprietario e contrario a ogni universalismo – due cose che hanno un notevole collegamento – si vede nitidamente nei due provvedimenti del contante e dei sanitari no-vax. Infatti come viene motivato il provvedimento sul contante e quello sul covid? I soldi sono miei e ne dispongo come voglio. E il corpo è mio e quindi ne faccio ciò che meglio credo. Questo assunto libertario, che in sé è anche apprezzabile, viene piegato in senso reazionario quando si impernia sul rifiuto delle regole a partire da quelle sulla tutela della salute pubblica.

Torniamo alla manipolazione delle masse di Ortega y Gasset. Ho sentito Alessandro Milan riferire di aver ricevuto a Radio24 centinaia di mail di protesta. Ascoltatori che gli intimano di non disturbare il governo. Cosa sta succedendo, nella pancia del Paese? C’è voglia di autoritarismo?
Marco Tarchi anni fa ha scritto un libro: “Esuli in patria”. Raccontava dei fascisti e del loro modo di vivere nell’Italia repubblicana, sentendosi come stranieri nel sistema democratico. Per biografia o per tradizione orale sono tantissimi quelli che discendono da quella storia, dalla sconfitta del fascismo. Persone che si sentivano escluse dalle vicende successive alla Liberazione. La vittoria di Giorgia Meloni è stata l’epifania della rivalsa, per loro. Una rivincita. E questo spiega le pretese come ad esempio quella di dettare la linea a un giornalista come Milan.

Come nasce una democratura, anche così? Con ampio consenso?
Sicuramente il favore dei cittadini è determinante e non c’è dubbio che tutte le mosse di Giorgia Meloni incrementano questo favore. Detto questo, la democratura è altra cosa. Richiede delle modifiche del quadro politico nel senso della rottura costituzionale e lacerazioni nella struttura dello Stato di diritto. Eventi che, grazie al cielo, non sono accaduti e non credo avverranno.

Siamo ai primi giorni.
Non prevedo l’instaurazione di una democratura. Vedo, piuttosto, una Italia dove potrebbe affermarsi un’opinione pubblica e una politica di tipo autoritario, senza rotture costituzionali.

Nell’alveo della democrazia?
Sì. Anche perché noi in questo momento vediamo la prima fase del governo. Poi, avrà ben altre gatte da pelare.

Certo le premesse non sono le migliori.
No anzi, sono le peggiori. I più realisti del re, che sono annidati in particolare nei giornali, hanno lodato ancora prima dell’insediamento, l’equilibrio e la moderazione di Giorgia Meloni. Equilibrio e moderazione stracciati in quattro mosse.

Quali?
Cosa c’è di saggio nel designare Fontana e La Russa come vertici delle istituzioni? Cosa c’è di saggio nei provvedimenti in campo giuridico che inventano un nuovo reato?

Un reato pericoloso, liberticida.
Preferisco riservare questo termine ad altre e più temibili misure, e non escludo che ciò possa accadere.

Come definirebbe allora il nuovo reato?
Il testo di questa norma palesemente non è stato scritto da un maestro di scienza giuridica. È un testo analfabetico sotto il profilo del diritto, perché viola uno dei principi fondamentali del diritto stesso, ovvero la tassatività. È un reato generico, approssimativo nella formulazione, che si può prestare a qualunque abuso.

Inclusa l’occupazione di un liceo.
Appunto, certo, con due classi che occupano una struttura edilizia che presenta magari qualche parte fatiscente, si applica perfettamente la misura dei sei anni di pena, consentendo con questo l’intercettazione a grappolo di sedicenni e diciassettenni che si cercano per concordare un aperitivo.

E non è Stato di polizia, questo?
Manteniamo la calma. Si può arrivare a dire che se questa tendenza si rivelasse quella prevalente nella produzione legislativa, il rischio di arrivare a quell’autoritarismo che dicevo è molto forte. Però con questa norma non si entra ancora in uno Stato di polizia, perché questa è soprattutto una norma scema, scritta con i piedi che presenta, certamente, il pericolo di gravi abusi.

Anche l’attacco alla cancellazione dell’ergastolo ostativo va in quella direzione. Che altro è, se non la lesione dello Stato di diritto?
Sì, è quella cosa lì: una lesione dello Stato di diritto. Una cosa incommensurabilmente grave, ma non è l’instaurazione dello Stato di polizia. È l’avvio di un processo. Se seguissero altri fatti simili, certo le conseguenze sarebbero nefaste.

A cosa pensa?
Si sente parlare della riforma dell’art.27 della Costituzione per abolire la finalità rieducativa della pena. Se ci fosse anche questo, certo che ci avvicineremmo al precipizio. Sul piano culturale, mi preoccupa l’insieme dei messaggi. Perché condizionano l’opinione pubblica. La potenza performativa di questi messaggi rischia di cambiare in profondità il senso comune.

Non trasformano solo le leggi, ci sta dicendo, ma incidono sulla matrice culturale della società?
L’articolo 27 non è una legge. È un principio che attiene alla nostra cultura millenaria, è una sintesi dell’umanesimo. È l’esito di una storia che si chiama civiltà. È l’idea che l’essere umano possa avere coscienza di sé e possa cambiare. Minare alle basi questo principio, affermando l’irredimibilità di una parte degli esseri umani, significa rinnegare il pensiero fondativo del nostro mondo.

Sull’inciviltà del sistema carcerario la fanno facile: più carceri e più celle per tutti.
Io sono anziano. È da almeno 50 anni che sento parlare di nuove carceri. Sa quanto ci vuole a farle? Dai 15 ai 20 anni. Se siamo in emergenza oggi, e siamo sotto osservazione degli organismi internazionali per mancanze gravi sul piano dei diritti umani, rimandare la soluzione di vent’anni non mi sembra molto serio.

E poi più carceri spesso significa più carcerati.
Sì, abbiamo un’ampia letteratura scientifica che lo dimostra. Ogni volta che aumentano le prigioni, in tutti i paesi del mondo, aumenta la popolazione detenuta. È un dato inoppugnabile. Nel caso in cui si realizzasse questa distopia, avremmo più carceri più sovraffollati. Soprattutto se come sembra si vuole aumentare il numero dei reati, negando quell’idea sacrosanta, difesa a lungo dallo stesso Carlo Nordio, per cui va invece incrementata la depenalizzazione.

A suo parere cosa sta succedendo a Nordio, visto che lo tira in ballo?
È una situazione ineffabile. Alla lettera: nel senso che non può essere detta. Nordio pochi mesi fa aveva solennemente dichiarato che l’ergastolo ostativo è un’eresia rispetto alla Costituzione. Noi tutti, trepidi garantisti, gli abbiamo creduto. Da due giorni aspettiamo un suo sussulto, un flatus voci, una qualunque cosa. Se questa non arrivasse, dobbiamo mobilitarci per chiedere che Nordio sia rimesso in libertà.

Dal governo che lo tiene in pugno?
Si deve trovare evidentemente in una situazione di impedimento forzato. Tutti i garantisti ne devono chiedere il rilascio immediato.

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Ph.D. in Dottrine politiche, ha iniziato a scrivere per il Riformista nel 2003. Scrive di attualità e politica con interviste e inchieste.