“Questa norma sull’ergastolo ostativo è figlia dell’insegnamento di Falcone e Borsellino. E’ stata molto osteggiata dalla mafia, che ha inserito la richiesta di abolizione nei vari papelli…”. Ha voluto aprire con queste parole la prima conferenza stampa del primo consiglio dei ministri, Giorgia Meloni. Sulla giustizia e nel modo peggiore delle peggiori previsioni. Anche perché, subito dopo ha aggiunto, come era prevedibile, che il rinvio dell’entrata in vigore della riforma Cartabia sul processo penale non è solo tecnico, ma “servirà anche a valutare” se la normativa non vada modificata in qualche sua parte.

Dispiace dover contraddire, così, nel suo vero primo giorno di governo, la Presidente del consiglio. Non è questione di opinioni, ma di notizie. Né BorsellinoFalcone sono i padri di quella pena di morte sociale che ha preso le vesti, nel 1992, dopo che loro erano stati assassinati, dei reati “ostativi”, e in particolare dell’ergastolo. Anzi, lo stesso Falcone aveva messo mano a un provvedimento che diceva esattamente il contrario, lasciando al condannato sempre una vita d’uscita che non fosse quella della collaborazione. Del resto la Presidente del consiglio, che è entrata in politica proprio per l’emozione provata dopo l’assassinio di Borsellino e ha ricordato i depistaggi di Stato dopo la strage di via D’Amelio e l’uso del finto collaboratore Scarantino, avrebbe tutte le ragioni per diffidare della genuinità di certi “pentimenti”.

E credere di più, come ha mostrato di credere l’ex ministra Cartabia, nella forza di un percorso individuale di cambiamento della persona e nella progressiva presa di distanza da parte del condannato, comprovata dai soggetti che stanno vicini al detenuto nella quotidianità come i giudici di sorveglianza, dal proprio passato di trasgressione. Vogliamo sperare che qualche imbarazzo abbia provato nella conferenza stampa il ministro Nordio, cui la Presidente ha detto di aver “tolto il bavaglio”, alludendo a qualche titolo di giornale che salutava con gioia il fatto che quel cerotto sulle labbra gli fosse stato messo. Come conciliare il pensiero del Nordio-uno, quando definiva l’ergastolo ostativo “un’eresia contraria alla Costituzione”, con il Nordio-due quando ritiene che il Parlamento, con il disegno di legge approvato nei mesi scorsi, abbia accolto alcune “criticità” indicate dalla Corte Costituzionale e la Cedu? Eh no, signor ministro, l’Alta Corte aveva dichiarato l’incostituzionalità, proprio come lei nella fase Nordio-uno. Cioè la norma, e anche la legge approvata dal Parlamento, che è in alcuni punti addirittura peggiorativa rispetto alla norma del 1992, è contro la Costituzione, altro che criticità.

La domanda ora è: l’otto novembre, quando si riunirà per deliberare sulla materia, l’Alta Corte avrà la forza di dire al Parlamento che anche la nuova legge, votata “quasi” all’unanimità perché il partito di Giorgia Meloni, Fratelli d’Italia, si era astenuto, è contro la Costituzione? E che l’Italia sta sprofondando nell’illegalità e ripristinando la pena di morte? Ma un’altra domanda sorge spontanea, dopo aver ascoltato anche le parole del ministro guardasigilli: esisterà ancora la riforma Cartabia sul processo penale dopo il 31 dicembre? La domanda non è inutile, dopo il rinvio deciso dal Consiglio dei ministri delle norme, indispensabili anche per l’osservanza dell’impegno assunto sul Pnrr, che avrebbero dovuto entrare in vigore proprio domani. Rinvio tecnico, apparentemente, anche per dare una mano alle difficoltà espresse nei giorni scorsi dai 26 procuratori generali, soprattutto per i provvedimenti che intervengono sulla fase delle indagini preliminari.

Ma è ormai chiaro che non sarà così, e che interverrà qualche “manina”, come ci avevano già informato i saputelli del Fatto quotidiano con le loro interviste anonime (ah, la passione di consultare i citofoni!) a dirigenti di Fratelli d’Italia ansiosi di fare a pezzetti la riforma già ribattezzata, anche dal Giornale, come “salvaladri” o “svuotacarceri”. Nel mirino del partito talebano, soprattutto la norma che prevede la necessità di querela per perseguire una serie di reati. Il che è apparentemente in linea con quel che ha sempre pensato e anche affermato fino ai giorni scorsi il ministro Nordio. Il quale, poche ore prima che la Presidente del Consiglio Meloni si dichiarasse contraria, aveva lanciato come primo provvedimento del suo nuovo incarico quello della depenalizzazione di una serie di reati. E aveva in seguito fatto proprio l’allarme sulle carceri dopo il suicidio numero settantadue dall’inizio dell’anno. Svuotare le carceri da persone in attesa di giudizio o condannate per pene inferiori a quattro anni è meno ancora che depenalizzare. Perché rinviare, quindi?

Tutta la riforma Cartabia del resto potrebbe essere la fotocopia, o viceversa, del Nordio-pensiero, basterebbe leggere i suoi libri. E buttare via la riforma Cartabia sarebbe veramente un insulto alla speranza di svuotare le carceri, che “ospitano” sempre almeno 5.000 detenuti in più del minimo vitale consentito per respirare, e perché la vita, anche da prigionieri, non sia pura sopravvivenza in attesa dell’ultimo giorno. Ma anche per favorire quella ricucitura, attraverso una sorta di patto tra il reo e lo Stato, spesso più utile delle grida manzoniane e del pugno di ferro nei confronti di chi quello strappo sociale ha prodotto. Su due punti precisi è intervenuta la riforma, il potenziamento delle pene alternative al carcere per condanne medio-basse e l’introduzione di una disciplina che regolamenti la giustizia riparativa. Provvedimenti che dovrebbero stare a cuore anche a coloro che vedono la pena solo in termini securitari, perché sono statisticamente quelli che abbattono la recidiva.

È certo invece che l’intervento ci sarà, e bisognerà vedere se la “manina” che avrà in mano il bisturi sarà quella del Nordio-uno o del suo successore Nordio-due. Ma ci sarà. Del resto bastava leggere la relazione allegata al testo del decreto, nel punto in cui diceva che lo slittamento comporterà anche la possibilità di “analisi delle nuove disposizioni normative, agevolando l’individuazione di prassi applicative uniformi e utili a valorizzare i molti aspetti innovativi della riforma”. Ci si domanda però, visto che neppure la stessa magistratura lo aveva chiesto, perché il ministro abbia sentito la necessità di un rinvio della legge in blocco e non abbia deciso di procedere in modo selettivo. Avrebbe potuto per esempio isolare solo la parte di più complessa applicazione, come quella sulle indagini preliminari. Se il motivo è politico, e se davvero nel nuovo governo c’è il problema di prendere le distanze da quella che fino a ora è stata la miglior guardasigilli, prevediamo tempi duri per il ministro Nordio-uno e l’ esordio del Nordio-due.

Possibile che dovremo assistere a scivolamenti come quello di confondere l’incostituzionalità con la criticità? Tra l’altro un ex procuratore non può non sapere che il differimento di una riforma così attesa anche dagli avvocati comporterà anche un bel po’ di confusione nelle aule di giustizia nelle prossime settimane. E ci saranno centinaia di richieste di rinvio a raffica nei processi, da parte dei difensori di imputati che avevano la speranza per esempio delle misure alternative o sulla nuova causa di non punibilità per la tenuità del fatto, su cui la riforma è intervenuta. E sarà quindi in grado il governo di confermare gli impegni presi in sede di Pnrr con la certezza della riduzione del 25% della durata dei processi entro il 2026? Perché occorre un impegno preciso e che abbia la forza di realizzare quel che è la norma nei Paesi anglosassoni, il cui processo ha ispirato la riforma nel 1989, sulle misure alternative al carcere, per ridurre i tempi.

Resisteranno all’intervento del bisturi della “manina” le quattro tipologie previste dalla riforma, cioè la semilibertà, la detenzione domiciliare, il lavoro di pubblica utilità e le pene pecuniarie? Il ministro Nordio ha ricordato il fatto che la vittima per esempio di un furto aggravato, uno dei reati per cui si prevede il passaggio dalla procedibilità d’ufficio a quella su querela, si limita alla denuncia, non sapendo di doversi anche querelare, magari anche solo contro ignoti. Ma la riforma aveva fissato un tempo congruo perché tutti fossero informati del cambiamento. Che cosa succederà adesso? Se nelle more di questi due mesi si ascolteranno le trombe di chi ha definito la riforma Cartabia una “salvaladri”, avremo ancora la speranza di ritrovare quel Nordio-uno, quello che voleva avviare una grande campagna di depenalizzazione, quello sensibile ai suicidi in carcere, quello in cui avevamo riposto tante speranze, o via Arenula sarà occupata dagli amici di Travaglio?

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Politica e giornalista italiana è stata deputato della Repubblica Italiana nella XI, XII e XIII legislatura.