La giornalista
Cecilia Sala, gli iraniani arrestati e le accuse di cospirazione: l’altra partita tra Italia e Stati Uniti
“Ha violato la legge della Repubblica islamica”. È con questa vaga motivazione (fin troppo vaga anche per l’Iran) che da Teheran hanno confermato l’arresto di Cecilia Sala. L’ammissione è arrivata dal Dipartimento generale dei media esteri, una delle sezioni del ministero della Cultura e dell’orientamento islamico. Un comunicato apparso anche sui media ufficiali del Paese. E che per molti esperti, proprio per il suo essere così indefinito, rappresenta la prova implicita che l’Iran cerca uno scambio, quello tra la giornalista italiana e Mohammed Abedini Najafabadi.
Il caso “sotto inchiesta” di Cecilia Sala
“La cittadina italiana è arrivata in Iran il 13 dicembre con un visto giornalistico ed è stata arrestata il 19 per aver violato la legge della Repubblica islamica dell’Iran” ha scritto Teheran. “Il suo caso è sotto inchiesta. L’arresto è stato eseguito secondo la normativa vigente e l’ambasciata italiana è stata informata. Le è stato garantito l’accesso consolare ed il contatto telefonico con la famiglia” ha proseguito il comunicato del dipartimento, che poi ha anche affermato che “la politica del ministero è sempre stata quella di accogliere le visite e le attività legali dei giornalisti stranieri, aumentare il numero di media stranieri nel Paese e preservare i loro diritti legali”. L’Iran ha preferito non dare ulteriori dettagli. A farlo sarà solo la magistratura, hanno sottolineato i funzionari iraniani. Ma il sospetto è che in realtà questi ulteriori dettagli siano tra i non detti. Tra le righe di una diplomazia fatta anche di manovre di questo genere, dove a un arresto corrisponde un altro arresto, anche se con basi legali e motivazioni del tutto differenti. Lo sa l’Iran e lo sanno anche l’Italia e gli Stati Uniti, che lavorano sottotraccia da settimane consapevoli che si tratta di un equilibrio delicato. Dove si incrociano questioni legali, ma anche di politica interna e internazionale.
I due iraniani accusati
Per il cittadino iraniano fermato dalla Digos il 16 dicembre a Malpensa, c’è la possibilità di ottenere gli arresti domiciliari, anche se molti osservatori ritengono questa strada molto difficile anche per il pericolo di fuga. Sull’uomo, considerato centrale nel programma dei droni dei Pasdaran, rimangono ancora dei misteri. È stato fermato nell’aeroporto milanese con un volo che aveva fatto scalo a Istanbul. Non aveva prenotato alcun alloggio nel capoluogo lombardo: per molti una prova che volesse andare via in automobile, probabilmente in Svizzera. Ed è ormai chiaro che sia lui la chiave per ottenere la liberazione di Sala. Lui e Mahdi Mohammad Sadeghi, il quarantaduenne con doppia cittadinanza iraniana e Usa, arrestato nel Massachusetts, e che tornerà in tribunale a Boston il prossimo giovedì.
La partita con gli Stati Uniti
Ed è per questo che la partita ora non si gioca più solo tra Italia e Iran, ma anche tra Italia e Stati Uniti. Entrambi gli iraniani arrestati sono accusati di cospirazione per avere messo a disposizione componenti elettronici americani per le Guardie della rivoluzione islamica. Cosa che non solo viola la legge Usa ma che avvantaggia un apparato che Washington considera un’organizzazione terroristica. Per gli Stati Uniti è fondamentale bloccare il flusso di tecnologia che alimenta l’industria bellica di Teheran, soprattutto in una fase in cui il sistema dei droni iraniani non è utile solo agli ayatollah, ma anche ai proxy mediorientali dell’Iran (in particolare agli Houthi) e alle forze russe impegnate in Ucraina. Un fiore all’occhiello degli apparati militari della Repubblica islamica, che ora, minata nel suo Asse della Resistenza, vuole provare anche a scardinare il blocco occidentale provando un insperato dialogo sul fronte del programma nucleare.
Il malcontento evidente e il dialogo sotto le regole iraniane
Le sanzioni soffocano l’economia iraniana. Il malcontento, anche per la crisi economica e per le sconfitte militari e diplomatiche, inizia a essere sempre più evidente. Il presidente Masoud Pezeshkian aveva vinto le elezioni anche per una maggiore propensione al dialogo con gli Usa e l’Europa. Ma l’arresto di Sala e l’eventuale scambio imposto con la forza possono essere il segnale che il dialogo, per l’Iran, deve essere condotto in base alle sue regole.
© Riproduzione riservata