La Corte europea dei diritti dell’uomo ha più volte ribadito che, in materia di sovraffollamento carcerario, si ha violazione dell’articolo 3 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo – divieto di tortura e di trattamento inumano e degradante – quando vi è insufficienza di spazio personale a disposizione dei detenuti e, in particolare, se non vi è fruibilità di almeno tre metri quadrati di superficie pro capite. Ma quanti sono grandi tre metri quadrati? Poco, certamente poco! È uno spazio la cui larghezza, moltiplicata per la lunghezza, deve dare come risultato tre. Per esempio, una stanza di tre metri quadrati, sarà larga due metri e lunga uno e mezzo. Se poi inseriamo in questo spazio un letto (dimensioni standard 190 x 80 centimetri) e un armadietto (70 x 50 centimetri), l’area disponibile per il movimento si riduce ulteriormente. Includendo anche una sedia e un tavolino, la libertà di movimento è quasi pari a zero.

Eppure su questo minimo sindacale dei tre metri quadrati concesso al detenuto, sia magistrati europei, che nazionali, con fiumi d’inchiostro, hanno scritto di tutto sul metodo da adottare per calcolare i tre metri quadrati. Se si fosse tenuto presente il principio, non derogabile, del rispetto della dignità del detenuto, nulla si sarebbe dovuto dire se non che è mortificante, per un Paese civile, tale modalità di detenzione. Nei tre metri quadrati rientrano i servizi sanitari? Va incluso lo spazio occupato dai mobili? Dai letti? E se il letto è a castello? E vanno prese in considerazione le altre condizioni degradanti di detenzione, quali la mancanza di possibilità di accedere ad aree esterne ovvero alla luce naturale, la cattiva aerazione, la temperatura troppo calda o troppo fredda, l’assenza di riservatezza nell’uso del wc, le cattive condizioni sanitarie e igieniche? Un contrasto giurisprudenziale odioso, quanto ozioso.

Alcuni giorni fa abbiamo appreso dall’informazione provvisoria, proveniente dalla Cassazione, che le Sezioni Unite – chiamate a dirimere il contrasto giurisprudenziale sulle modalità di calcolo dei tre metri quadrati e, in particolare, se nella valutazione dello spazio minimo disponibile per ogni detenuto vanno detratti gli arredi fissi al suolo – all’udienza del 24 settembre scorso hanno adottato la seguente soluzione: «Nella valutazione dello spazio minimo disponibile di tre metri quadri per ogni detenuto si deve aver riguardo alla superficie che assicura il normale movimento e, pertanto, vanno detratti gli arredi tendenzialmente fissi al suolo, tra cui rientrano i letti a castello». L’informazione provvisoria rappresenta un buon segnale, ma occorrerà attendere il deposito della sentenza per comprendere che cosa s’intende con il «tendenzialmente fissi al suolo». Oltre ai letti a castello, vi rientrano anche gli armadietti, i letti normali? Probabilmente no, perché possono essere spostati.

Ci auguriamo che le motivazioni facciano chiarezza e soprattutto ci spieghino,come viene preservata la dignità del detenuto, se nello spazio disponibile di tre metri quadrati vanno calcolati anche gli arredi mobili. La possibilità di spostarli certamente non evita, a nostro avviso, un trattamento inumano e degradante. Alcuni anni fa, la onlus della Camera Penale di Napoli, Il Carcere possibile, organizzò l’iniziativa Detenuto per un minuto, istallando in Piazza dei Martiri – il “salotto” della città – una stanza del tutto simile a una cella, con spazio e arredo standard. Vi fu grande affluenza e tutti coloro che furono rinchiusi, attendevano, con ansia, che la sabbia della clessidra, che segnava il tempo, finisse di scendere. Una volta usciti manifestarono il loro disagio per quello che avevano vissuto, pur per un solo minuto. Quel minuto rappresentava la goccia nel mare dello smisurato tempo che i detenuti trascorrono nelle loro celle, che – ci piace ricordare – dovrebbero essere, per legge, solo stanze di pernottamento mentre, nella maggior parte dei casi, rappresentano il (non)luogo dove trascorrono 20/22 ore al giorno.

Il contrasto giurisprudenziale sulle modalità di calcolo dei tre metri quadrati non ci entusiasma, anzi ci sconforta, perché altri dovrebbero essere gli argomenti da affrontare in un Paese civile che vuole difendere i valori della sua Costituzione. Innanzitutto tenere presente che al detenuto, come per gli altri cittadini, va riconosciuta pari dignità sociale e vanno rimossi gli ostacoli che impediscono la sua crescita personale, sussistendo tra l’altro un obbligo di favorire il reinserimento sociale e la tutela della salute, vanno inoltre garantiti i diritti fondamentali. Chi non fosse d’accordo con tali principi, sostiene un pensiero contra legem, basato su un’idea populista che potrebbe sembrare egoista ma al contrario è esclusivamente miope, perché un’esecuzione penale del tutto scollegata con le norme che la regolano non garantisce affatto una vita sociale migliore. Anzi, incattivisce e genera illegalità. Si è persa una grande occasione, non approvando la riforma dell’ordinamento penitenziario che avrebbe consentito un maggiore ricorso alle misure alternative e quindi un minore sovraffollamento, garantendo al tempo stesso sicurezza. È necessario riprendere quei lavori e investire maggiori risorse, ma non per costruire nuove carceri – che avrebbero comunque tempi lunghissimi di realizzazione – ma per migliorare gli spazi esistenti.