Era il 9 settembre del 2001 quando il comandante Ahmad Shah Massud, il “Leone del Panjshir”, il combattente oppositore nell’Afghanistan dell’Emirato dei talebani veniva ucciso in un attentato da fondamentalisti islamici. La sua morte in corrispondenza quasi perfetta con gli attentati dell’11 settembre 2001 negli Stati Uniti è stata letta da numerosi osservatori come un segno della direzione che l’Afghanistan, il fondamentalismo, la lotta all’Islam radicale e gli equilibri internazionali stavano prendendo. Massud era un’icona già all’epoca: aveva combattuto contro i sovietici, contro i fondamentalisti, i talebani.

I giornali di tutto il mondo volevano intervistarlo. Uomo carismatico, amava la poesia e gli scacchi. Era musulmano osservante ma lontano dall’estremismo. La sua storia, a vent’anni dalla morte, è tornata di attualità dopo il ritorno al potere dei talebani, entrati a Kabul lo scorso 15 agosto. Il Panjshir ha provato a resistere, con Ahmad Massoud, figlio del comandante, senza scampo: i talebani hanno preso il controllo di tutto il Paese e nominato il loro nuovo governo.

Il comandante

Ahmad Shah Massoud era nato nel 1953 in un villaggio nel nord del Paese. Famiglia sunnita, etnia tagika. Aveva studiato al Lycée Esteqlal di Kabul, poi al politecnico. Era stato attivista dei Giovani Musulmani vicini al professor Burhaddin Rabbani, presso il quale si era riunita una generazione di giovani ostili alle pressioni dell’Unione Sovietica. Divenne combattente negli anni ’70. Disse di lui l’inviato speciale, che lo seguì e intervistò in numerose occasioni, de Il Corriere della Sera Ettore Mo: “Al tempo del nostro primo incontro, nell’81, l’ex studente universitario fuori corso aveva appena 26 anni ma era già leggenda: che le epiche battaglie dei mujaheddin contro gli ‘sciuravi’ — i russi — avrebbero via via ingigantito. Ricordo un giovane piuttosto schivo e taciturno, un volto pallido affilato, gli occhi grandi e scuri, quasi sempre offuscati da un velo di malinconia. Niente d’altero o d’autoritario nella sua persona, sapeva imporsi grazie alla sua forza interiore, impartiva ordini quasi senza parlare, gli bastavano gli occhi e un gesto sbrigativo nella mano per dire ai suoi ragazzi cosa fare, dove andare”.

La situazione precipitò in pochi anni: i Giovani Musulmani si spaccarono tra i moderati vicini a Rabbani e gli estremisti di Gulbuddin Hekmatyar; ad aprile 1978 il colpo di stato ai danni del regime repubblicano di Daud; si insediò Taraki con un esecutivo filo-sovietico; i ribelli organizzarono la resistenza a Peshawar. Kabul era ormai nell’orbita di Mosca e Massud tornò nel suo Panjshir. La lotta dei mujaheddin contro l’Armata Rossa durò fino al 1989, quando i sovietici si ritirano. “Neanche un graffio sul suo bel volto asciutto, affilato – scriveva Mo del comandante – Aveva appena respinto la settima offensiva nella vallata, che i sovietici avevano troppo incautamente battezzato ‘Addio Massud’”. Gli accordi di Peshawar però non bastarono: Rabbani diventò presidente, Massud ministro della Difesa, ma le divisioni interne al Paese infiammarono ancora le divisioni interne al Paese. Il comandante si scontrò proprio con Hekmatyar. L’Afghanistan non era per niente in pace.

I talebani

A Kandahar, nel 1995, si formarono ufficialmente i cosiddetti talebani, “studenti di dio”, che nel 1996 presero Kabul e instaurano la Repubblica Islamica basata su una rigida interpretazione del Corano. Il primo ministro Najibullah venne prelevato, torturato, evirato, ucciso con un proiettile in testa ed esposto in pubblica piazza: era un segnale dei fondamentalisti a tutti gli afghani. Massud, come Rabbani, fuggì da Kabul e organizzò una nuova guerriglia nella sua terra. Il “Leone del Panjshir”, come venne definito in tutto il mondo, si mise alla testa dell’Alleanza del Nord in opposizione ai talebani e infliggendo pesanti sconfitte agli estremisti guidati dal mullah Omar.

L’attentato

Il comandante stesso ammetteva però che la situazione era drammatica: senza il rinforzo delle potenze occidentali era impossibile affrontare quello stato di cose. C’erano un milione di profughi circa nel Panjshir a inizio settembre 2001 – proprio qui Emergency di Gino Strada aveva aperto un ospedale. E l’escalation fondamentalista non si fermò: i talebani offrirono ospitalità a organizzazioni terroristiche come Al Qaeda e allo sceicco Osama Bin Laden. “I governi europei non capiscono che io non combatto solo per il mio Panjshir, ma per bloccare l’espansione dell’integralismo islamico”.

Il 9 settembre del 2001 due sedicenti giornalisti tunisini di un’emittente televisiva del Marocco arrivarono per un’intervista al comandante nel Panjhisr. All’interno della telecamera nascosero una bomba: nell’esplosione morì il comandante e un attentatore, l’altro venne finito a colpi di arma da fuoco dalle guardie del corpo di Massud. Per alcuni erano terroristi dell’organizzazione Ansar al Sharia, reclutati a Bruxelles, per altri affiliati ad Al Qaeda. La notizia divenne nota due giorni dopo, mentre tutto il mondo era sconvolto dagli attacchi dell’11 settembre agli Stati Uniti.

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Giornalista professionista. Ha frequentato studiato e si è laureato in lingue. Ha frequentato la Scuola di Giornalismo di Napoli del Suor Orsola Benincasa. Ha collaborato con l’agenzia di stampa AdnKronos. Ha scritto di sport, cultura, spettacoli.