I referendari hanno rovinosamente perso. E si acclara che non è questa la politica che serve a chi lavora ogni giorno per sostenere sé stesso e la propria famiglia. E non è nemmeno un’opposizione credibile quella che si ostina a recitare copioni logori, lontani dalla realtà e dalla vita quotidiana delle persone. Invece di qualificarsi agli occhi degli elettori, certi partiti sembrano fare di tutto per squalificarsi. Altro che offrire un’alternativa: è il trionfo del déjà-vu autolesionista. Lo abbiamo visto chiaramente nel recente referendum: a votare, per lo più, sono stati i “contro” a prescindere: i professionisti del dissenso. Ma i tanti delusi, gli scettici, quelli che pure contestano il governo ma non trovano più sponde credibili nell’opposizione tradizionale, hanno scelto il silenzio delle urne. E come dar loro torto?

Quesiti scritti su Marte

Del resto, come avrebbero potuto sentirsi rappresentati da quesiti sul lavoro tanto sconnessi dalla realtà da sembrare scritti su Marte? E che dire del sindacalista protagonista, più impegnato in alchimie politiche di sinistra estrema che a sedersi ai tavoli dei contratti? Invece di occuparsi di creare le condizioni per una crescita economica sostenibile, si è preferito parlare – anzi, urlare – di redistribuzione, come se i soldi pubblici fossero manna dal cielo e non il frutto del lavoro degli italiani.

I trucchi della Prima Repubblica

La strumentalità dell’intera operazione era palese: usare il referendum come conta muscolare per provare a pareggiare i voti del governo alle politiche. Un’illusione che si è infranta contro la realtà di un paese stanco, consapevole, e sempre più vaccinato contro i trucchi da Prima Repubblica. E come se non bastasse, la manifestazione a poche ore dal voto – sì, quella per santificare i terroristi oscurantisti di Hamas e demonizzare Israele, unico Stato democratico del Medio Oriente – ha aggiunto al disorientamento anche un’inquietante deriva ideologica.
Questa vicenda ha comunque chiarito un punto: nel rapporto con i cittadini non esistono scorciatoie. Gli italiani sanno distinguere il sacro dal profano, la sostanza dalla propaganda. E questo vale per tutti: anche per le segreterie dei partiti, che non possono continuare a muoversi come cani da tartufo in cerca di un’occasione per salire sul carro dei vincitori. È così difficile restare sé stessi, rappresentare con chiarezza la propria idea di Paese, la propria visione dell’economia, del lavoro, della società? I partiti dovrebbero essere strumenti al servizio della politica, non fini in sé. Le alleanze, altrettanto: mezzi, non idoli da inseguire.

Sinistra aggregato di risentimenti

Questa ennesima prova maldestra ha insegnato, semmai, che la sinistra – o almeno quella che pretende di farsi chiamare tale – è lontana dai principi stessi del progresso. Ha perso il centro: non è più liberale, non è più cattolica, non è più socialista. È solo un aggregato di risentimenti senza progetto. La vera sfida, allora, è nelle mani dei riformisti autentici: vogliono continuare a fare politica politicante o si decideranno finalmente a creare un soggetto nuovo, aperto, serio? Uno strumento per cambiare davvero la politica italiana, renderla utile, concreta, credibile? Perché l’Italia ha davanti sfide titaniche. E per affrontarle non servono comizi, ma visione. Non servono slogan, ma coraggio. Non serve agitare le braccia: serve rimboccarsi le maniche.

Raffaele Bonanni

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