L'intervento
Chi sono i webeti e gli utonti, i nuovi stupidi

«La stupidità ha fatto progressi enormi, è un sole che non si può più guardare fissamente, grazie ai mezzi di comunicazione non è nemmeno più la stessa, si nutre di altri miti, si vende moltissimo, ha ridicolizzato il buon senso, spande il terrore intorno a sé. Oggi il cretino è pieno di idee». La sentenza di Ennio Flaiano è datata 1969, ma sembra attualissima. La stupidità non solo non è passata di moda, ma sembra espandersi verso nuovi e insondabili confini. Il cretino del villaggio è diventato l’idiota globale; lo scemo di paese, con il megafono dei social, si espande oltre i ristretti confini della provincia. Ci sono perfino neologismi ad hoc per definire gli stupidi al tempo dei social: la democrazia digitale prevede anche l’ascesa dei webeti e degli utonti.
Nei tempi del terrapiattismo e del complottismo, delle fake news e del negazionismo, è ancora più urgente equipaggiarsi contro lo sconfinato stupidario del nostro tempo dove la gara a chi la spara più grossa si è candidamente estesa alla stanza dei bottoni. «La persona stupida – come sosteneva lo storico Carlo M. Cipolla, autore delle famose leggi della stupidità umana – è il tipo di persona più pericoloso che esista». «Due cose sono infinite: l’universo e la stupidità umana, ma non sono sicuro dell’universo» recita il citatissimo aforisma attributo ad Albert Einstein. La stupidità, in effetti, ha proprio i caratteri dell’illimitato perché non conosce limiti, leggi, alterità, gerarchie. Le asserzioni della stupidità sono pretese risolute; ben più risolute di quelle che potrebbe permettersi un’intelligenza che è sempre mossa dal dubbio e non dalla certezza.
Per sconfiggerla, però, la stupidità andrebbe prima definita e compresa, per poi essere stanata e, alla fine, cancellata. E la filosofia, intesa come esercizio critico dell’intelligenza, ha tentato fin dall’origine di escogitare mille sistemi di monitoraggio per estirpare quest’erba velenosa. Ma dalla lotta senza quartiere alla stupidità ne è uscita, quasi sempre, sconfitta. La stupidità è un nemico subdolo. È nella sua natura disorientare l’avversario. C’è qualcosa di evasivo e ambiguo nella stupidità, un resto che si sottrae a ogni analisi cognitiva. Ogni volta che tentiamo di definirla, si fa più sfuggente. Improvvisamente le nostre certezze vacillano: qual è il criterio per distinguere un pensiero profondo da un’abissale idiozia? «Che cos’è realmente la stupidità?», si chiede Robert Musil in una lucida conferenza tenutasi nel 1937, la sua ultima apparizione pubblica nella sua Vienna, prima della fuga in Svizzera dove morirà misteriosamente qualche anno dopo. Desolato ammette: «Preferisco confessare subito il senso di inferiorità che provo nei confronti della stupidità: non so che cosa sia! Ma potrei dire che più di una volta ho intrattenuto con lei rapporti camerateschi!».
Musil ci mette in guarda da un circolo vizioso inaggirabile. Se la stupidità è ciò che appare stupido, allora chi ne parla – nel disperato tentativo di apparire intelligente – corre il rischio di tradirsi. Nello sforzo di dimostrarci immuni dalla stupidità (nessuno vuole sembrare stupido!), ci esibiamo in eccessive ostentazioni di sagacia e finiamo per apparire ciò che avevamo in programma di evitare: stupidi. Ma se vantare la propria intelligenza per non apparire stupidi può essere stupido, non è neanche sempre intelligente farsi una reputazione da stupidi. Una spirale da cui non si esce facilmente.
La stupidità, insomma, non è il nemico esterno da combattere, ma il pericolo interiore più temuto: la nostra paura è che la nostra stessa stupidità rivendichi il suo diritto di esprimersi. La filosofa Avital Ronnell, autrice del profondo e geniale saggio Stupidity, ci fa comprendere come l’impenetrabile opacità della stupidità abbia a che fare con il collasso delle nostre certezze in termini filosofici, etici, politici, psicanalitici. La stupidità, cioè, è un sintomo ineludibile della natura umana, ha a che fare con il nostro essere finiti, è il marchio della nostra condizione di soggetti che errano e sbagliano nel tempo limitato che ci è concesso. Siamo miseramente infranti e, quindi, inevitabilmente idioti.
E il filosofo che voleva armarsi contro la stupidità ne è la prima acclarata vittima: la stupidità alberga nel cuore della filosofia stessa. Stupor e stupiditas, stupore e stupidità, provengono dallo stesso verbo e hanno la stessa radice. La filosofia e la stupidità nascono dallo stupore, dall’aria attonita e stordita di chi rimane a bocca aperta di fronte a uno spettacolo meraviglioso. «I filosofi – ha scritto Derrida – non hanno mai trattato della stupidità, forse perché c’è della stupidità nel progetto filosofico stesso». Riflettere sull’essenza inafferrabile della stupidità, accettando il rischio di sembrare stupidi, potrebbe essere l’unico modo per riconciliarci con la nostra più intima e nascosta natura. Non fosse altro perché, come chiosava giustamente il filosofo Ortega y Gasset, «l’uomo saggio è colui che è tormentato dal sospetto di essere un imbecille, mentre solo l’imbecille è sempre fiero di sé».
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