Nemmeno il tempo di registrare il trionfo di Vincenzo De Luca alle regionali che gran parte dell’opinione pubblica ha già cominciato a interrogarsi sul nome del prossimo sindaco di Napoli. Per carità, il tema c’è tutto: si tratta di individuare una personalità in grado di rimediare ai disastri compiuti dalla giunta de Magistris e di dare una nuova prospettiva di crescita a quella che è e resta la capitale del Mezzogiorno. Prima ancora dei nomi, però, vengono i progetti. Ed è su questi ultimi che dovrebbero costruirsi esperienze politiche e amministrative. Ed è sempre intorno ai progetti che, soprattutto in questa fase, dovrebbe ruotare il dibattito pubblico.

Invece non è così. Ieri, non a caso, il Corriere del Mezzogiorno indicava i quattro esponenti del Partito democratico che si giocherebbero la candidatura a sindaco di Napoli: i ministri Vincenzo Amendola e Gaetano Manfredi, il dirigente nazionale Nicola Oddati e il numero uno dell’Eav Umberto De Gregorio. Non solo. Sempre sullo stesso giornale l’europarlamentare Fulvio Martusciello annunciava che l’alfiere del centrodestra nella corsa a Palazzo San Giacomo dovrà essere «interclassista e intergenerazionale», probabilmente espressione della società civile e non di questo o quel partito della coalizione. Di nomi, però, il luogotenente napoletano di Silvio Berlusconi non ne ha fatti.

Un dibattito così impostato suscita più di una perplessità, innanzitutto per un motivo: allo stato attuale nessuna forza politica è in grado di imporre un candidato e di farlo eleggere. Certo, c’è il sindaco uscente de Magistris che ha fatto sapere che a breve indicherà il suo nome per la corsa a Palazzo San Giacomo. Di quanto sia politicamente inopportuno e intrinsecamente contraddittorio questo annuncio, abbiamo già detto: con quale coraggio un primo cittadino, quasi unanimemente identificato come la causa del recente declino di Napoli, dice di voler rendere noto il suo candidato per poi intavolare una trattativa con non meglio precisate forze politiche? Poco importa, Dema ci ha abituato a certe strampalate iniziative. Fatto sta che né il Pd né il Movimento 5 Stelle né il centrodestra hanno il consenso necessario per far sì che Tizio o Caio assuma la guida di Palazzo San Giacomo.

Il dibattito sui nomi dei candidati sembra sterile anche sotto un diverso profilo. Visto che manca una forza politica in grado di far eleggere un proprio esponente, qualsiasi nomination dovrà essere frutto di scambi e di accordi politici a livello nazionale. Probabilmente se ne dovrà fare una ragione anche De Luca che non è detto che riesca a imporre il proprio nome al Pd nonostante il consenso bulgaro che gli ha garantito la conferma alla guida della Regione. Ecco perché è ora che l’opinione pubblica metta da parte la smania dei nomi e delle alleanze. Anziché impegnarsi in questo esercizio del tutto inutile, i napoletani farebbero bene a interrogarsi sulle cose da fare per la città.

Il che significa mettere a fuoco i problemi – e sono tanti – e individuare una strategia per risolverli. Trasporti, manutenzione, verde pubblico, asili nido, gestione del patrimonio sono solo alcuni dei nodi che Napoli attende che qualcuno sciolga. Interrogarsi sul nome di chi debba farlo è un mero esercizio di stile, almeno in questa fase. Capire come curare le ferite della città sarebbe opera più urgente e senz’altro meritoria. Anzi, indispensabile per individuare i progetti sui quali convogliare le risorse in arrivo dall’Europa e mettere in cantiere le iniziative necessarie per il rilancio di Napoli in Italia e nel mondo.

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Classe 1987, giornalista professionista, ha cominciato a collaborare con diverse testate giornalistiche quando ancora era iscritto alla facoltà di Giurisprudenza dell'università Federico II di Napoli dove si è successivamente laureato. Per undici anni corrispondente del Mattino dalla penisola sorrentina, ha lavorato anche come addetto stampa e social media manager prima di cominciare, nel 2019, la sua esperienza al Riformista.