Non è perché fanno, o hanno fatto mestieri diversi. Uno magistrato, l’altro professore, ma tutti e due politici, nei diversi percorsi delle loro vite. Roberto Scarpinato e Massimo Cacciari, siciliano il primo, veneto il secondo. Ma abbiamo voluto mettere a confronto due mondi che sarebbe bello poter mescolare, a partire proprio da quel che significa arrogarsi il diritto di giudicare gli altri, quel “potere di sopprimere, magari a vita, la nostra libertà”, come ha scritto proprio ieri sulla Stampa il filosofo veneziano. Parlava degli anarchici, e in particolare di Alfredo Cospito, che si sta lasciando morire di fame dopo che la Cassazione ha trasformato la gravità di un attentato del 2006 a una caserma, che per fortuna non aveva provocato vittime, in strage contro la sicurezza dello Stato.

È vero che non esistendo il reato di tentata strage, la qualificazione rimane la stessa anche quando il gesto non produce morti e feriti. Ma un’azione “contro la sicurezza dello Stato” è un reato da ergastolo. Come per il terrorismo internazionale. E nel caso del detenuto Cospito ha comportato l’applicazione dell’articolo 41 bis dell’ordinamento penitenziario, quello del carcere impermeabile alla comunicazione tra il dentro e il fuori della prigione. Quello applicato ai condannati di mafia. Ma che è anche una vera forma di tortura, per tutti, mafiosi e non. Massimo Cacciari è un filosofo e un politico. Non sta facendo del pietismo in favore di un “poveretto” in catene. Diciamo che coglie un’occasione per argomenti che non gli sono usuali, ci pare. E, pur non volendolo, mentre parla di anarchici risponde a Roberto Scarpinato, che probabilmente non conosce e di cui forse ignora anche le numerose interviste sul foglio di famiglia, quel Fatto quotidiano che l’ha aiutato ad arrivare in Senato. Dove si è già dato da fare, con l’esordio nel quale pareva aver scambiato l’aula per una di giustizia, e l’intervento da politico con una requisitoria in toga. Raccogliendo persino la protesta polemica della presidente Meloni, che tra l’altro sui suoi argomenti preferiti, come mafia antimafia ed ergastolo ostativo la pensa proprio come lui.

Il neo senatore pare voler rubare il mestiere al filosofo. Cacciari cita e interpreta Simone Weil. “Il diritto penale ha già di per sé il sapore dell’inferno. Già è tremendo il fatto di dover giudicare e punire, tanto che spesso potrebbe sembrare che siamo ritenuti liberi proprio al fine di poter essere ‘imputabili’, e cioè sempre almeno potenzialmente colpevoli”. Proprio come la pensava quel pubblico ministero che voleva rivoltare l’Italia come un calzino. Ma l’ex magistrato, oggi politico, Scarpinato è già un passo avanti rispetto a Davigo. Non gli bastano i processi, le condanne e il carcere. Lui vuole possedere le anime, e per l’eternità. Appena giunto in Senato si è occupato di quel che gli dà più di altro il sapore di una continuità, con due parole da assaporare come caramelle: “ergastolo” e “ostativo”. E ha sciorinato la sua proposta. Perché si possa applicare l’ordinanza della Consulta che ha dichiarato incostituzionale la possibilità di accedere alla liberazione condizionata solo attraverso la collaborazione, occorre spiegare perché non ci si è trasformati in “pentiti”. Non basta aver scontato in carcere 26 anni della propria vita. Non basta aver tenuto un comportamento esemplare e aver seguito con successo il trattamento previsto dalle leggi. Non basta essere diventati altre persone, aver studiato, aver lavorato, aver mutato le modalità di relazioni sociali. La prigionia del corpo non basta più. Occorre vendere l’anima. Se ti sei rifiutato di confermare l’ipotesi dell’accusa, anche se questa fosse sbagliata (come per esempio quella del “processo trattativa” in cui Scarpinato era pg in appello), e non hai chiamato in causa altre persone, o se tu avessi avuto timore di ritorsioni o semplicemente non avessi notizie inedite da dare, sappi che queste non sono ragioni che possano soddisfarmi. Devi darmi di più. Sei prigioniero.

“Quando si toglie a una persona ogni libertà di muoversi, comunicare, quando si sopprime quella dimensione essenziale della nostra natura che è la vita di relazione, senza dimostrare al di là di ogni ragionevole dubbio che la misura sia assolutamente necessaria, ciò è sintomo di una paurosa decadenza della nostra civiltà giuridica”. Così il Maestro di Venezia. Ma bisogna evitare, risponde il Maestro di Palermo, di “fare un salto nel buio” con le concessioni. Perché per esempio, se anche una mancata collaborazione fosse “giustificabile” perché “inesigibile”, “irrilevante” o “impossibile”, che ne sappiamo di come si sarebbe comportato l’ergastolano qualora non avesse avuto questi ostacoli? Eheh, comodo sottrarsi in questo modo alla tenaglia della collaborazione. Che, ricordiamolo, non significa soltanto confessione, ma anche chiamata in correità, su fatti spesso di decenni precedenti e su persone che magari non ci sono più. È un modo di fermare la storia, e le vite. Ognuna di queste persone è inchiodata all’immagine di venti-trenta anni prima, in un altro mondo, in un altro contesto e altri comportamenti. Massimo Cacciari lamenta la caduta delle ideologie, quella del reinserimento sociale, quella dell’articolo 27 della Costituzione: “c’è da chiedere dove sono andati a finire i dibattiti degli scorsi decenni sulle alternative al carcere o sul significato e sul fine della stessa detenzione”.

È troppo autocelebrativo ricordargli che ci sono piccoli giornali come Il Riformista e Il Dubbio e associazioni come “Nessuno tocchi Caino”, e anche qualche singolo individuo come Mattia Feltri, e parlamentari o ex, che non hanno mollato un minuto? Domande e risposte sono ancora all’ordine del giorno. Su “sorvegliare e punire”, sul senso della pena e sulle sofferenza del processo, che è già tortura in sé. Questo parlamento, e già quello precedente, sono considerati, con qualche ragione, molto arretrati rispetto al passato sul piano della cultura e della civiltà giuridica, soprattutto per la presenza in massa degli esponenti del Movimento cinque stelle. Ma quel che in questi trent’anni è successo fuori dal palazzo della politica e cioè nei palazzi di giustizia è molto peggio. Il mondo delle toghe ha prodotto la mentalità, la cultura, e soprattutto i comportamenti dei magistrati come Roberto Scarpinato. Di cui, tra l’altro, oggi possiamo parlare un po’ più liberamente perché si è fatto uomo politico. Ma guai a dirglielo prima, erano querele a pioggia. Anche questo è potere. Siamo d’accordo in toto sulla chiusa dell’articolo di Massimo Cacciari. “Il Paese che per sentirsi più sicuro riduce i diritti della persona, aumenta il ricorso alla prigione e ne aggrava il regime…finirà inevitabilmente col trovare la propria sicurezza nel farsi prigioniero del più forte”. Ma intanto in parlamento c’è andato Scarpinato, non Cacciari.

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Politica e giornalista italiana è stata deputato della Repubblica Italiana nella XI, XII e XIII legislatura.