Sul rispetto effettivo del principio della presunzione di innocenza i vari dibattiti, sui rimedi legislativi per dare concreta attuazione alla direttiva europea, sembrano partire tutti da alcuni presupposti errati. La tutela del diritto alla presunzione di innocenza delle persone sottoposte a indagini o processo non può essere attuata solo attraverso il controllo del giudice sulla grammatica degli atti, o attraverso sanzioni per la pubblicazione di atti o del loro contenuto. Questa tutela, perché sia piena, deve accompagnarsi anche al diritto a non subire un processo mediatico, cioè la traslitterazione populista del processo penale nell’alfabeto giustizialista. Occorre, perché ci sia una tutela effettiva, la creazione di un luogo e di un momento di riflessione esterni alla magistratura, all’avvocatura, alla politica e ai media, e che tutto questo sia gestito da un soggetto terzo e indipendente.

Prevedere, inoltre, la legittimazione esclusiva della parte debole – indagato o persona processata – nel richiedere tutela, non risolverà in alcun modo il problema all’interno delle indagini e del processo. Appare evidente, infatti, che la posizione di debolezza psicologica di queste persone non stimolerà l’attivazione dei blandi rimedi previsti. Sembra che si parta da due errati presupposti: che il processo penale sia solo “un affare” tecnico e delle sole parti, e non anche un rito che rappresenta una riflessione della società su sé stessa, e che la presunzione di innocenza sia un principio da tutelare solo all’interno del limitato spazio delle indagini e del processo. La giustizia, per essere tale, deve mantenersi alla giusta distanza dai conflitti e dalle passioni. A maggior ragione, dunque, tali distanze devono essere richieste a chi deve controllare il rispetto delle norme che non attengono solo al processo penale propriamente inteso ma al vivere civile, in materie che richiedono inoltre competenze specifiche non solo di diritto ma anche, tra le altre, di giornalismo, sociologia, scienze cognitive e comunicazione. Non a caso la direttiva europea lascia ampia libertà ai singoli stati membri nell’individuare i soggetti controllori del rispetto dei principi stabiliti in tema di presunzione di innocenza.

Le persone sottoposte ad indagini e processo rappresentano una minoranza debole, perché non solo sono “attenzionate” dallo Stato con tutta la forza invincibile che lo contraddistingue ma anche da vasti settori dei media, della politica e della società, e sono vittime spesso di processi di piazza e anche di un linguaggio dell’odio proveniente non solo da una parte dell’opinione pubblica, ma persino da una parte della politica e da alcune istituzioni del nostro Paese (ministri, presidenti di commissioni, etc.). La magistratura e l’avvocatura non dovrebbero occuparsi della tutela di tali diritti al di fuori del processo. Perché hanno interessi confliggenti, non ne hanno le competenze e sono già parti all’interno dello spazio previsto per il loro agire: le indagini e i processi. Tale “tutela esterna” andrebbe inoltre evitata anche per non incidere negativamente sul processo.

Questa competenza andrebbe affidata ad una autorità garante esterna, indipendente, collegiale, composta da esperti in tante materie. Una autorità nominata dal Presidente della Repubblica e non dal Ministro della Giustizia, perché sia quanto più possibile indipendente e non collegata, e non collegabile un domani, alla stessa. L’istituzione di un Garante, per i diritti delle persone sottoposte ad indagini e processo, potrebbe rappresentare la creazione di un organo “terzo” capace di tutelare i diritti di chi viene sottoposto ad un processo mediatico. Al Garante dovrebbe essere riconosciuta anche la possibilità di adire in via diretta – come alla parte interessata – l’Autorità garante per le comunicazioni, le cui competenze andrebbero ampliate.

Il processo mediatico è un virus che non colpisce solo il diretto interessato ma tutta la società, nella quale si diffonde – attraverso tutti i vari tipi di media – a ritmi incontrollabili e con effetti a lungo termine non rilevabili nell’immediato. La competenza ad intervenire, dunque, non può essere relegata al solo spazio di indagine o processuale. L’attività di denuncia, di tutela ma anche di studio e di raccolta dei dati del Garante rappresenterebbe un momento di riflessione importante, e potrebbe essere concretamente utile ad arginare gli effetti del processo mediatico e quindi ad attuare una più vasta ed effettiva tutela del principio della presunzione di innocenza.