È tutto pronto per l’economia del “Metaverso”? La domanda ha qualcosa di letterario: il termine, infatti, fu coniato per la prima volta dallo scrittore di fantascienza Neal Stephenson nel suo romanzo del 1992 Snow Crash. Oggi il metaverso comincia a diventare qualcosa di molto concreto dopo che Mark Zuckerberg, amministratore delegato di Facebook, ha annunciato il mese scorso il cambio del nome dell’azienda in Meta. E ha assicurato che «il metaverso raggiungerà un miliardo di persone in un decennio, creando milioni di posti di lavoro».
In sostanza, il metaverso immaginato da Zuckerberg è un mondo di infinite comunità virtuali interconnesse in cui le persone possono incontrarsi, lavorare e giocare, utilizzando visori per realtà virtuale, occhiali per realtà aumentata, app per smartphone o altri dispositivi. Secondo Victoria Petrock, analista di Insider Intelligence, esperta di tecnologie emergenti, il metaverso incorporerà anche altri aspetti della vita online come lo shopping e i social media. «È la prossima evoluzione della connettività in cui tutte le attività iniziano a riunirsi in un universo senza soluzione di continuità né alter ego – spiega Petrock – nel quale vivi la tua vita virtuale nello stesso modo in cui stai vivendo la tua vita fisica». In pratica sarà possibile seguire un concerto virtuale, fare un viaggio online, visualizzare o creare opere d’arte e provare o acquistare abbigliamento “digitale”.
Ma il grande cambiamento – già avviato dalla pandemia – è quello del lavoro da casa: il metaverso potrebbe rendere permanente questa modalità di lavoro creando uffici virtuali nei quali riunire i dipendenti. Proprio Facebook ha lanciato un software per riunioni aziendali, chiamato Horizon Workrooms, da utilizzare con i suoi visori Oculus: le cuffie costano 300 dollari e sembrano una grande occasione di business. Anche Microsoft, subito all’inseguimento del rivale, ha definito piani per introdurre i 250 milioni di utenti del suo software Teams nel metaverso. Entrambe le società promettono di mettere gli utenti nelle condizioni di creare avatar, o cartoni animati di se stessi, capaci di muoversi liberamente tra diversi mondi virtuali. Per i lavoratori, ciò significa partecipare a riunioni, uscire casualmente con i colleghi o visitare i “gemelli digitali” di uffici e fabbriche del mondo reale. Microsoft ha affermato che nella prima metà del prossimo anno, gli utenti di Teams potranno comparire come avatar nelle riunioni online a cui già partecipano. Jared Spataro, capo di Teams, prevede che avere le video chat di gruppo «riempita da personaggi dei cartoni animati che ti parlano non sembrerà fuori luogo».
Secondo gli esperti c’è però una differenza tra gli approcci dei due giganti tecnologici. Facebook, con la app Horizon Workrooms, è passato direttamente alla realtà virtuale: gli utenti sono rappresentati da avatar simili a cartoni animati e la tecnologia audio spaziale fa sì che gli utenti ascoltino gli altri nella stanza in base a dove appaiono seduti nello spazio immaginario e condiviso. Microsoft ha scelto un approccio più graduale e può contare sul fatto che 250 milioni di persone usano Teams almeno una volta al mese (Facebook è fermo a 7 milioni di utenti paganti): questi fatti lo rendono per i lavoratori il luogo più probabile in cui sperimentare la nuova tecnologia. Ma quale sarà l’impatto reale di queste trasformazioni? È vero che, specie durante la pandemia, mescolare avatar e volti reali nelle riunioni di gruppo è stato un modo simpatico e intelligente per favorire l’interazione tra i colleghi. Ma, in futuro, le persone accetteranno le nuove forme di lavoro virtuale? E le troveranno appaganti? Come ha detto Peter Barrett, un venture capitalist che ha investito nella realtà aumentata, «accumulare diversi tipi di interazione digitale sui lavoratori dopo le tensioni della pandemia potrebbe non compensare ciò che si è perso nell’interazione umana».
Interagire con gli altri su Zoom può essere comodo ma, alla lunga, può portare all’esaurimento. «Vogliamo stare con gli altri esseri umani», avverte Barrett. Inoltre, gli stessi strumenti che, durante la pandemia, hanno favorito la liberazione del tempo e la maggiore autonomia dei lavoratori potrebbero produrre alla lunga l’effetto contrario. Come spiega Sarah Roberts, professore associato presso l’Università della California a Los Angeles, «se la giornata tipo dei lavoratori da remoto trascorresse in versioni virtuali degli uffici che hanno lasciato, ciò annullerebbe il senso di controllo che molti hanno riacquistato sulla loro vita lavorativa». Insomma, la replica virtuale di conferenze e riunioni costanti si trasformerebbe in una forma di nuovo controllo. La reimposizione di questi punti cardine della vita d’ufficio mostra «una richiesta da parte dei dirigenti di mantenere il controllo sulla classe operaia e sulle loro attività», avverte la Roberts.
Ma sulla testa degli utenti pende ancora un’altra minaccia. La possibilità di creare gli alter-ego digitali che le persone probabilmente porteranno con sé nelle loro vite lavorative parallele è un enorme business per le aziende. Come avverte Tom Wheeler, ex presidente della Federal Communications Commission degli Stati Uniti e membro del Brookings Institution, «se diventerà il luogo in cui molte persone creano i propri avatar personali, Facebook potrà utilizzare queste nuove identità digitali per tenere traccia dei dati personali mentre gli utenti si spostano attraverso altri metaversi». Un esito che non lascia dormire sonni tranquilli: Facebook potrebbe avere accesso a un numero ancora più ampio di dati personali, proprio nel momento in cui, in patria, deve difendersi dall’accusa di non essere riuscito a fermare – o di aver attivamente stimolato – la pericolosa proliferazione in rete di una serie di derive che vanno dalla semplice disinformazione al complottismo fino addirittura al terrorismo.
Inoltre, in futuro, i dispositivi necessari per l’ingresso nel metaverso potrebbero assomigliare sempre più, dal punto di vista commerciale, agli smartphone di nuova generazione. In questo modo anche l’hardware – cioè l’insieme di questi supporti tecnologici – diventerà, da un lato, una occasione di business, e, dall’altro, una opportunità per le aziende di creare – e governare – l’ecosistema digitale. Ma il metaverso non può essere vissuto semplicemente come una minaccia. Come accade in tutti i nuovi mercati, all’istinto monopolistico del primo arrivato si oppone la pressione di tutti gli altri concorrenti. In altre parole, il metaverso non è – e non potrà restare – solo un progetto di Facebook. Qualche esempio? Epic Games, la società che produce il popolare videogioco Fortnite, ha raccolto un miliardo di dollari dagli investitori per la costruzione del suo metaverso. La piattaforma di gioco Roblox, stranota tra i giovanissimi, già dal 2004 ha puntato alla creazione del suo mondo virtuale nel quale “le persone possono incontrarsi all’interno di milioni di esperienze 3D per imparare, lavorare, giocare, creare e socializzare”. Lo sa bene la casa di moda italiana Gucci che, nel giugno scorso, ha collaborato con Roblox per vendere una collezione di accessori esclusivamente digitali a un prezzo maggiorato.
Anche Coca-Cola e Clinique hanno venduto token digitali come trampolino di lancio verso il metaverso. «Pensiamo che ci saranno molte aziende che costruiranno mondi e ambienti virtuali nel metaverso, allo stesso modo in cui molte aziende hanno fatto sul World Wide Web», garantisce Richard Kerris, vicepresidente della piattaforma Omniverse di Nvidia. «È importante essere aperti ed estensibili, per consentire all’utente di teletrasportarsi in mondi diversi, indipendentemente dall’azienda che offre il servizio, allo stesso modo in cui si va da una pagina web a un’altra pagina web». Insomma, man mano che aumenterà il traffico nel metaverso sarà sempre più necessario condividere gli spazi dove gli utenti comprano, vendono e scambiano. Ecco perché la settimana scorsa Microsoft e Meta hanno trovato un accordo per far comunicare le piattaforme Workplace e Teams. E siamo solo all’inizio.
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