Il guzzantino
Cosa è successo nel 1978: l’anno dei tre Papi, dell’omicidio Moro e di Carlos lo sciacallo
Ancora nessuno lo conosceva, ma il giovane Ali Agca, che il 13 maggio 1981 avrebbe sparato al papa Giovanni Paolo II mancando di pochi millimetri la sua aorta, dalla Turchia si trasferì a Beirut per un corso di addestramento militare organizzato dall’Olp, l’Organizzazione per la liberazione della Palestina di Yasser Arafat. Oggi i nomi dei grandi terroristi di allora non fanno più effetto perché bisogna avere una sessantina d’anni per ricordare chi fosse Ilich Ramirez Sanchez, detto Carlos, o anche Carlos lo Sciacallo, il quale si allea con Abu Nidal mentre Gheddafi fa piazzare bombe in giro, specialmente sugli aerei, ma anche nei locali notturni. Vale la pena tenerne nota considerando che siamo a due anni dalla tragedia di Ustica.
E così in questo anno di transizione violenta si registra l’esplosione del Boeing Francoforte-New York su Lockerbie (275 morti), il volo di linea Uta Brazzaville-Parigi esploso sul Niger (200 morti), la bomba nel locale di Berlino Ovest frequentato da militari americani, per non parlare degli assassinii di dissidenti libici all’estero (Italia compresa) né dei finanziamenti a gruppi terroristici di ogni colore e tendenza, né dell’appoggio al gruppo Abu Nidal, con cui Carlos aveva stretto alleanza. Gheddafi agiva ormai con tratti di follia egocentrica: nel corso di un’intervista spettacolarmente litigiosa con la giornalista Oriana Fallaci a urlare “I am the gospel”, “Io sono il Vangelo”. Gheddafi era allora circondato da bellissime soldatesse che indossavano uniformi da circo equestre. In Francia, il giudice Jean-Louis Bruguière, che otterrà alla fine della sua carriera due condanne all’ergastolo per Carlos lo Sciacallo, decise di mettere sotto inchiesta la galassia dei gruppuscoli sedicenti marxisti-leninisti, armate rivoluzionarie, anarchiche e simili, che negli ultimi trent’anni avevano colpito la Francia, anche durante il governo socialista con mezzo migliaio di attentati tutti puntualmente attestati dagli archivi della Stasi, il triste e famoso servizio segreto della Repubblica Democratica Tedesca che usava il gruppo di Carlos con parecchi italiani.
Quando io svolsi il ruolo di presidente di una Commissione parlamentare d’inchiesta, scoprii una quantità enorme di quei rapporti che erano finiti nel retrobottega dei nostri servizi segreti e anche di qualche giudice molto distratto.
Giorgio Bocca, grande giornalista inviato di punta di Repubblica scriveva che «la minaccia di golpe autoritario tra il 1965 e il 1970 è più forte, più reale che il suo opposto, la rivoluzione proletaria». Nel suo saggio Il terrorismo italiano: 1970-1978, ricostruì i legami tra il fondatore delle Brigate Rosse Curcio con Feltrinelli e i suoi viaggi a Cuba per incontrare Fidel Castro e come, grazie alle relazioni internazionali di Feltrinelli, stabilì i primi rapporti con la Raf (L’esercito rosso tedesco) e con la formazione “Gauche Proletarienne francese. Vladimir Bukovskij, un importante dissidente sovietico rifugiato a Londra, quando poté spulciare gli Archivi segreti di Mosca, scrisse che «in un rapporto del 1978 il leader sovietico Jurij Andropov, affrontò seriamente il tema dell’elezione a papa del cardinale Wojtyla come parte di un complotto internazionale per staccare la Polonia dal blocco sovietico». Gli americani furiosi per l’uccisione di Moro sbatterono la porta in faccia al Partito comunista italiano.
Il Dipartimento di Stato, dopo aver richiamato per consultazioni l’ambasciatore in Italia Richard Gardner, emise un comunicato in cui si diceva: «L’atteggiamento del governo statunitense nei confronti dei partiti comunisti dell’Europa occidentale, compreso quello italiano, non è in alcun modo mutato. I leader democratici devono dimostrare fermezza nel resistere alla tentazione di trovare soluzioni tra le forze non democratiche». Fino a quel momento avevano dato carta bianca a Moro, che all’assemblea dei gruppi parlamentari della Dc era riuscito a far approvare la costituzione di una maggioranza programmatica e non politica che comprendeva anche il Pci. Moro aveva contrattato con il Pci il primo passo del compromesso: i comunisti avrebbero accettato di fare parte della maggioranza del nuovo governo, ma senza ministri e con presidenze di Commissioni e di un ramo del Parlamento, senza accesso alla stanza dei bottoni strategici. Così era nato il governo di solidarietà nazionale di Giulio Andreotti quando Aldo Moro fu rapito il 16 marzo, giorno della nascita del nuovo esecutivo, per essere trattenuto per quasi due mesi sotto interrogatorio e infine assassinato il 9 maggio del ’78 nel bagagliaio di una Renault 4 parcheggiata in via Caetani, una strada che si trova a metà delle due casemadri di via delle Botteghe Oscure del Partito comunista e piazza del Gesù, sede della Democrazia Cristiana.
Il cinque giugno, travolto da una campagna di stampa e sospetti giudiziari, il presidente della Repubblica Giovanni Leone si dimise. Molti anni dopo lo intervistai sul suo letto di morte insieme alla moglie Vittoria e mi disse con grande pena come fosse stato incastrato dalla campagna orchestrata durante l’inchiesta sullo scandalo delle tangenti connesse con l’acquisto di aerei militari della casa aeronautica americana Lockheed. Disse che la campagna aveva uno scopo molto preciso: eliminarlo dal Quirinale per permettere l’elezione di Aldo Moro al suo posto. Quando Moro fu ucciso, mi disse, la campagna proseguì con la stessa volenza con cui era cominciata, perché ormai era inarrestabile e tutti non facevano altro che consigliargli di cedere e andarsene. L’otto luglio Sandro Pertini fu eletto presidente della Repubblica, indicato da Craxi come candidato della sinistra – proposta respinta da Pertini – e poi votato dall’intero “arco costituzionale”.
Pertini fu il primo a parlare delle violente intrusioni dei servizi segreti sovietici in Italia. Fu uno dei pochi punti su cui Pertini e Bettino Craxi erano d’accordo e gli accenni alla superpotenza sovietica furono considerati allora molto imbarazzanti a sinistra. In agosto, sull’Avanti! Bettino Craxi denunciò i “collegamenti internazionali del terrorismo”. Aldo Moro era stato assassinato da poco e Craxi si chiedeva se fosse stato ucciso soltanto per decisione delle Br, oppure perché la sua condanna era stata ratificata altrove. Craxi scrisse che esistevano “indicazioni sufficienti” per affermare che Aldo Moro era nel mirino del terrorismo internazionale. Il primo ottobre i reparti speciali antiterrorismo comandati dal generale Carlo Alberto Dalla Chiesa entrarono nell’ex covo brigatista di via Monte Nevoso a Milano. La brigatista Nadia Mantovani, arrestata insieme a Lauro Azzolini e a Franco Bonisoli, nel corso del blitz era stata delegata dalle Br a studiare il carteggio scaturito dal sequestro di Aldo Moro. Il capitano Umberto Bonaventura disse in seguito in Commissione Stragi: «Il primo ottobre mi trovavo in via Olivari… dopodiché mi reco in Via Monte Nevoso, dove comincia la perquisizione. Mi reco in sede dove un collega mi informa che sono state ritrovate delle carte di Moro. Ne parlo e me le faccio mandare. È chiaro che il generale Dalla Chiesa le ha viste e le avrà senz’altro portate a Roma. Facciamo delle fotocopie, le diamo al generale Dalla Chiesa, e poi questo materiale ritorna nel covo per fare la verbalizzazione». Si disse che le carte originali non ritornarono tutte ma che una parte fu messa in sicurezza dal generale.
Il 16 ottobre il cardinale di Cracovia Karol Wojtyla viene eletto Papa e sceglie il nome di Giovanni Paolo II. Prima di lui, il 26 agosto, era stato eletto un altro papa, Albino Luciani col nome di Giovanni Paolo I, ma il 28 settembre era stato trovato morto nel suo letto. Fu allora che le cose cominciarono a mettersi veramente male per il blocco sovietico. Wojtyla era stato un prete resistente all’occupazione nazista, affascinante attore e prete popolarissimo, connesso con i rappresentanti operai del sindacato semi clandestino Solidarność. Nei verbali del Comitato Centrale del Pcus, resi pubblici negli anni Novanta, si legge una raccomandazione affinché fossero adottate tutte le “misure attive” nei confronti del nuovo papa, affinché non scardinasse il rapporto fra sovietici e polacchi. Tra i firmatari c’era anche Michail Gorbaciov, che sarà l’ultimo segretario generale del Partito comunista sovietico.
FINE SECONDA E ULTIMA PARTE
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