Alcuni anni guardati a distanza sono sterili come rami secchi, altri non cessano di spurgare conseguenze, e il 1972 di cui abbiamo già ricordato gli eventi più drammatici– omicidio Calabresi, Feltrinelli che salta in aria, la strage di Monaco dei palestinesi di Settembre Nero – seguita ad agire sulla memoria come un buco nero. I buchi neri hanno questa capacità che incanta e ossessiona i fisici: fermano il tempo. Chi si avvicina a uno di questi mostri dello spazio galattico, rallenta fino a zero il ticchettio del suo orologio storico, fino a scomparire nel nulla.

Alcuni anni del nostro passato recente hanno agito come mostri. A Buenos Aires torna Juan Peron, il descamisado. Suppongo che gran parte dei lettori sotto i cinquanta sappiano poco di questo bellimbusto della storia, uno di quei rivoluzionari che non sai bene se considerarlo di estrema destra o di estrema sinistra, come purtroppo è capitato spesso nel secolo passato. Juan Peron era riuscito a mettere insieme senza troppo sforzo quel che restava del fascismo sociale italiano, alimentato da centinaia di migliaia di rifugiati italiani in Argentina, con le nascenti teorie rivoluzionarie sudamericane ispirate al marxismo e influenzate dalla vittoria di Castro a Cuba. Alla fine dell’avventura, di Peron restò un grumo di guerriglia nel gruppo dei Tupamaros. Peron distrusse con la furia demagogica sorretta da altrettanto furore popolare e demagogico l’Argentina che era il grande Stato emergente e paradisiaco del Sud America, opulento e aperto alla conquista, stremandolo fino alla miseria da cui ancora oggi non si risolleva tra un sussulto e l’altro di antiamericanismo.

Sua moglie Evita creò l’icona da musical, una creatura visionaria e follemente generosa col denaro altrui, che donava case ai poveri attingendole dalle casse dello Stato dimenticando di rifornirle. Peron era stato per diciassette anni in esilio nella Spagna di Francisco Franco, decrepito ma ancora in sella, e tornò a Buenos Aires come se avesse vinto la guerra. Quel ritorno, quella catastrofe e le illusioni connesse, furono causa di una catena di catastrofi letali, ma pervase di romanticismo. L’Argentina che prometteva di essere ricca come gli Stati Uniti della corsa verso l’Ovest diventò succube del cliché secondo cui i malvagi yankee vampirizzavano la ricchezza dei popoli. A Parigi, intanto, ancora si tagliava la testa con la ghigliottina, nel 1972, quattro anni dopo il ’68 rivoluzionario, “le joli May” delle barricate libertarie: zàc, due condanne per omicidio finiscono sullo stesso veloce patibolo macchinale, in un cortile all’alba. I socialisti italiani cambiano strada: la segreteria di Giacomo Mancini, intellettuale calabrese molto vicino ai radicali, anticomunista non isterico ma autonomista, viene detronizzato con un colpo di mano al Congresso di Genova del Psi dove vince il professor Francesco De Martino. Cominciò quell’era napoletano-brezneviana del socialismo italiano che porterà all’incupimento del partito socialista, diventato ideologicamente subalterno al Pci che aveva mal digerito Mancini e che rigetterà il successore di De Martino, Craxi.

E qui una nota dolorosa, a margine, sperando di risolvere un equivoco. Come ho ricordato di sfuggita in queste rievocazioni del tempo passato, io ho presieduto fra il 2002 e il 2006 una commissione bicamerale d’inchiesta sulle infiltrazioni sovietiche in Italia durante la guerra fredda. Quelle infiltrazioni non riguardavano, se non marginalmente, lo spionaggio. Lo spionaggio è un lavoro dei manovali del mestiere che trasferiscono informazioni protette da segreto a entità straniere. Ma le infiltrazioni di uno Stato in un altro riguardavano solo marginalmente lo spionaggio. Il vero oggetto del desiderio e del segreto non sono le spie ma i cosiddetti “agenti di influenza”. Che possono essere tali persino a loro insaputa. Il dossier Mitrokhin (dal nome di un vecchio archivista morente di cancro che donò la sua copia delle schede del Kgb agli inglesi) conteneva molti nomi di agenti di influenza e tra questi c’era anche il nome del professor De Martino, che io conoscevo benissimo, che andavo a trovare nella sua casa sul Vomero piena di ninnoli e canarini e che era un socialista certamente molto ossequiente verso l’Unione Sovietica e in ottimi rapporti col Pci.

Quando si diffuse la notizia di questo e altri nomi contenuti nelle schede che il servizio segreto inglese aveva consegnato a quello italiano nel corso di alcuni anni, ci furono molte dimostrazioni di sdegno. Come si poteva permettere che si desse credito a quel che riferiva un archivista russo infangando l’onorabilità di esimi protagonisti della politica italiana? L’unica risposta era: chiedetelo ai russi. De Martino non era di sicuro un “agente” di chicchessia, ma era considerata utile la virata impressa ai suoi socialisti verso il grigio-notte e il Psi cominciò a morire nell’emorragia di identità e seguitò a calare nei consensi fino al capitombolo nelle successive elezioni che provocarono la “rivolta contro il padre” dei demartiniani all’hotel Midas di Roma nel 1976, che incoronerà il giovane nenniano rampante Bettino Craxi. Ma allora, nel 1972, al Congresso di Genova si assistette alla fine dell’impennata libertaria che aveva visto lo scontro tra socialisti e servizi segreti. Intanto, entrava in vigore una delle leggi volute dai socialisti: quella che riconosceva l’obiezione di coscienza per rifiutare il servizio militare obbligatorio.

Terminava quell’anno l’epopea Fiat delle piccolissime utilitarie: dalla piccolissima alla media borghesia il Paese cresceva e la vecchia gloriosa Cinquecento degli amori difficili a causa della leva del cambio, andò in pensione.
L’America era nel frattempo entrata in una delle sue cicliche contorsioni, che secondo il politologo George Friedman costituiscono il convulso motore rivoluzionario della straordinaria crescita americana, sia civile che industriale. Secondo questo analista e molti think-tank, la unicità americana rispetto alle altre nazioni di lingua inglese, starebbe nelle drammatiche crisi di crescenza: dalla rivoluzione indipendentista alla guerra civile, dalla dorata supremazia aristocratica dei Kennedy al Watergate, lo scandalo che travolse Richard Nixon e che cominciò proprio nel 1972 quando questo repubblicano che aveva fatto da vice ad Eisenhower e aveva perso il primo round con Kennedy, conquistò le urne e venne poi rieletto in una votazione intossicata dallo scandalo delle microspie nell’hotel Watergate dove si era installato lo stato maggiore del comitato elettorale democratico.

D’altra parte, a Bonn si installava un altro campione della leadership occidentale: l’eroe berlinese Willy Brandt, il sindaco che aveva guidato la cittadella occidentale durante l’assedio con cui i sovietici avevano tentato di soffocare l’enclave democratica contenuta nel territorio della Repubblica democratica tedesca. Il blocco era stato sconfitto grazie al ponte aereo americano che aveva rifornito la città anche col pane, il latte e il carburante, ma a quella prima stretta ostile era seguito un lungo periodo di vero assedio economico e psicologico a Berlino Ovest e Willy Brandt, leader socialista, aveva conquistato la sua corona di campione dell’Occidente. Ma anche la cancelleria Brandt conteneva il suo uovo di serpente. Con un nome: quello di Gunter Guillaume, suo braccio destro, autore dei suoi discorsi, consigliere speciale e numero due, che era in realtà un agente della Stasi della Germania dell’Est e che quando sarà scoperto, processato e messo in galera con una condanna a tredici anni, trascinerà con se nella sua rovina anche il cancelliere più amato, che sarà costretto alle dimissioni.

Fu anche l’anno in cui fu rintracciato il famoso – come figura retorica poi abituale – “ultimo giapponese”: il sergente Shoichi Yokoi che viveva la sua personale e patriottica resistenza eremitica agli americani nel folto della foresta dell’isola di Guam, ignorando che la guerra era finita. Altre code di guerra: Gheddafi scopre che le tombe degli italiani ingombrano il terreno libico ed espelle le ossa dei colonialisti. L’Italia vota. In anticipo per una crisi che attanaglia la Democrazia Cristiana e che spinge il partito di maggioranza a giocarsi la carta della conta elettorale, con netto successo: la Dc è al trentotto per cento, il Partito comunista al 27, 1, il Psi sotto il dieci e l’estrema sinistra divora e disperde voti tra Psiup, Manifesto e Movimento Politico dei Lavoratori. Sinistra in crisi, sinistra divisa, sinistra senza direzione né verso, sarà il ritornello di quella battaglia elettorale in cui si vedeva in atto lo stesso genere di crisi di sempre: la sinistra di governo dilaniata dalla sinistra d’opposizione, con in più un Partito comunista che si trova nella scomoda condizione di avere troppi nemici a sinistra, e relativamente pochi a destra. Berlinguer si è appena insediato.

La sua svolta chiamerà il partito a tentare la nuova carta dell’indipendenza e dell’Eurocomunismo, che ancora era una vaga forma che si presentava nella nebbia di un’Europa in cui le tensioni della guerra fredda e quelle create dalle influenze dei grandi giocatori internazionali provocavano misteriosi contraccolpi ed ebbe esiti tragici e misteriosi. Si parlava ormai, e fin troppo vagamente, delle famose “piste”, ovvero le oscure tracce dei nuovi attori neri e rossi che agivano penetrando movimenti e bande, con quello che ancora si stentava a chiamare terrorismo. E che infatti era qualcosa di più complicato e inestricabile. Tanto inestricabile che ancora oggi la maggior parte dei fatti di quegli anni, e anzi proprio di quell’anno di doppiezze, uova di serpente ed effetti speciali che fu il 1972, si ripercuotono nel tempo presente.

(FINE)

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Giornalista e politico è stato vicedirettore de Il Giornale. Membro della Fondazione Italia Usa è stato senatore nella XIV e XV legislatura per Forza Italia e deputato nella XVI per Il Popolo della Libertà.