L’inizio degli anni Settanta è un calvario. La fine di quel boom rustico, impari ma gioioso del primo miracolo economico e la fine delle illusioni. La guerra fredda fra russi e americani si fece glaciale, con punte di fuoco e in Italia si partì dalla prima grande strage, consumata sullo scadere dell’ultimo degli anni Sessanta: quel dodici dicembre di piazza Fontana che distrusse per avvelenamento l’anima del nostro Paese. Ammazzamenti, tanti. Ma stragi, non se ne erano mai viste fin da quella del cinema Diana a Milano del 23 marzo del 1921 con ventuno morti e ottanta feriti. La bomba tra la folla. Ancora erano sconosciute le stragi islamiche e però tirava ovunque un’aria da guerra imminente, anche in casa, in famiglia, nelle coppie, fra genitori e figli, in un ufficio, in fabbrica, nelle campagne.

Stava scomparendo il proletariato rurale dei contadini rapati con i figli dalle orecchie a sventola, tutti andavano a scuola e tutti volevano fare più o meno la rivoluzione. Mao dalla Cina ancora emanava bagliori, la guerra del Vietnam avrebbe impiegato ancora qualche anno per spegnersi, cominciava ad arrivare la droga, mai vista prima. Canne, naturalmente, qualche allucinogeno e un po’ di cocaina che però c’era sempre stata per via dei signori che – si sapeva – usavano quella strana polvere perché erano ricchi e viziosi – ma le altre stavano spuntando da un nuovo nulla: l’eroina, la figura del junk, il drogato irrecuperabile, la parlata strascinata e i balordi, quelli pronti a tutto senza sapere perché e -come sempre – spioni, spioni ovunque. Oggi ci siamo (quasi) abituati al Trojan che ti attivano nel telefonino, ma allora gli spioni ti seguivano e nell’immaginario generale spiccava la figura dell’appuntato dei carabinieri che ascoltava e registrava su grosse bobine che poi sparivano, per riapparire a comando ma con pezzi mancanti, erano strumenti di ricatto e di minaccia.

“Il valzer delle bobine” era un titolo ricorrente ed equivaleva più o meno ad un odierno caso Palamara, ma con una differenza. A quei tempi, all’inizio del decennio, la magistratura italiana non era ancora divisa brutalmente in legioni correnti ideologie cordate, come quelle descritte oggi nel “Sistema” di Palamara e Sallusti. La strage di piazza Fontana fu la chiave di volta, l’evento monstre che seguitava a generare nuovi mostri, come matrioske ma matrioske crescenti, non più piccole. Soltanto in tempi recentissimi – mezzo secolo dopo – i giudici hanno certificato che la strage fu opera di un gruppo di eversori fascisti ma anche collegati con una strana sinistra nazi-maoista a sua volta collegata ad ambienti di varie o presunte intelligence. Per quanto: del KGB sovietico non si parlava mai. Era – nell’immaginario – tutto Cia e fascisti, fascisti e Cia, servizi segreti per loro natura deviati e stava per aggiungersi la massoneria delle logge segrete. Ma posso dire, col senno – e i documenti – di poi, che il KGB sovietico mai era stato così attivo in Italia come in quei dannati anni Settanta, come raccontò al Parlamento italiano il dirigente della sezione romana di quella nobile istituzione. Nel frattempo sono morti tutti, o quasi.

Ma l’effetto politico di quella prima strage si sviluppò secondo una lunga parabola: all’inizio la strage e il suo retroscena furono descritti come imprese criminali di anarchici balordi di sinistra fra cui quel ballerino anarchico, Pietro Valpreda, danzatore a Milano nonché creatore di lumi liberty da tavolo, e il gruppetto del Ponte della Ghisolfa. Ci fu la morte per caduta dalla finestra della questura dell’anarchico Giuseppe “Pino” Pinelli e l’accusa al commissario Luigi Calabresi – totalmente innocente – di averlo buttato o fatto buttare già morto, forse già morto o forse agonizzante. Il commissario fu poi assassinato da due giustizieri di Lotta Continua due anni e mezzo dopo, e questa è una brutta storia che vedremo più in là. Di Valpreda, di cui diventai amico come quasi tutti i cronisti di quell’epoca, ricordo la nonna che si porta dietro, e la volta che ci fece gelare il sangue mentre eravamo seduti insieme in una trattoria – per fare il cretino – esclamò “Qui se non mi portano da mangiare faccio la seconda strage”.

Un gruppo di controinformazione guidato dal giornalista Marco Ligini – mio compagno di liceo – fece un’indagine sul delitto di piazza Fontana e portò prove convincenti del fatto che l’inchiesta ufficiale fosse una montatura e che a mettere la bomba fossero stati dei fascisti. Nacque così la feconda stagione delle “piste nere”. I giornalisti – me compreso ma non fra i primissimi – che si occupavano di questa direzione d’inchiesta furono battezzati pistaroli neri perché il nero portava ai numerosi gruppi neofascisti anche greci, tedeschi, ustascia croati e ad altre ampie costellazioni di gruppuscoli che ancora riverberavano i fuochi fatui del terzo Reich. Valpreda andò in galera e ci restò a lungo e nacque l’idea di tirarlo fuori a suon di voti facendolo candidare alle elezioni del 1972. Lui si candidò con una lista di estrema sinistra sostenuta dal “manifesto” e da “Lotta Continua”, ma la lista non raggiunse il quorum e dunque non elesse nessun parlamentare: Valpreda restò in cella. Per questo, dopo una furibonda battaglia politica delle sinistre contro le destre e parte della Democrazia cristiana, fu approvata una “Legge Valpreda” che consentiva anche a un detenuto in attesa di giudizio per strage di uscire di galera per scadenza dei termini.

L’idea di evitare il carcere con le elezioni in Parlamento in quell’poca andava per la maggiore. Fece la fortuna di due imputati notissimi ed eccellenti giornalisti, Eugenio Scalfari direttore dell’Espresso e Lino Jannuzzi suo collega e grande cronista e scrittore, e permise loro di sfuggire al probabile arresto dopo esser stati condannati in primo grado per il processo che subirono per aver descritto un tentativo di colpo di Stato che probabilmente non c’era mai stato ma che sembrava egualmente possibile, nel 1967 (il possibile golpe che loro raccontavano era dell’estate 1964). Condannati, furono candidati nel 1968 per il partito socialista dal segretario Giacomo Mancini che portò Scalfari a Milano e Lino Jannuzzi senatore a Sapri, sicché assunse subito il soprannome di Carlo Pisacane. Quando poi i due su ripresentarono nelle stessa liste socialiste alle successive elezioni, nel 72, furono sconfitti, cosa che generò un effetto di non poco conto perché Scalfari, dopo aver trovato sbarrate le porte per un suo ritorno alla direzione dell’Espresso, molto seccato contro i colleghi allora chiamati “la banda dei quattro”, si mise a lavorare sul progetto di un giornale di formato tabloid mai visto in Italia che uscirà nel gennaio 1976 e sarà “la Repubblica”. Io c’ero, ma questa anche è un’altra storia dei più tardi anni Settanta, quando era ormai in corso una guerra civile a bassa intensità ed alto numero di assassinati, che fu romanticamente chiamata la guerra degli anni di piombo.

Ma già nel 1970 quasi tutte le uova di serpente erano state deposte, un po’ come avviene quando inizia una partita a scacchi e ciascuno dispone i propri pezzi. A quel tempo non si conoscevano i pezzi, si ignorava la posta della partita e anche le regole erano segrete. Come se non bastasse, scoppiarono i fatti di Reggio Calabria perché il 1970 fu l’anno delle prime elezioni regionali e la più estrema regione della penisola scoprì che – diversamente da quanto avvertivano i sussidiari scolastici – la città dello Stretto non era il capoluogo, perché tale titolo spettava invece alla citta di Catanzaro perché sede della Corte d’Appello. La Calabria saltò in aria, scoppiarono tumulti, ci furono morti e sparatorie, scoppiarono bombe ci furono manifestazioni di massa e stavolta la novità assoluta fu che il popolo in strada, gli scamiciati e i balordi, gli intellettuali e i capipopolo erano fascisti. Per la verità il fascismo calabrese non aveva mai avuto nulla a che fare con quello romano o romagnolo o lombardo o emiliano. Neanche durante il ventennio. I fascisti calabresi erano i vecchi baroni con la camicia di un colore diverso e un pugno di gente di mano.

Ma sulle barricate di Reggio Calabria insorta, dove tutti noi giornalisti di sinistra ci precipitammo avidi di teorie, complotti, retroscena e zeppi di pregiudizi, scoprimmo questo fatto del tutto inaspettato: era davvero una sommossa rivoluzionaria, aveva le sue ragioni anche sociali meridionalistiche immaginabili, era guidata da grandi proprietari agrari terrieri fra cui spiccava il marchese Zorzi, bell’uomo a cavallo in sahariana nera; scese con alcuni manipoli e milizie personali Junio Valerio Borghese principe romano che aveva combattuto una seconda guerra mondiale tutta sua con dei sottomarini suoi e delle imprese tutte sue vincendo la sua piccola guerra con gli inglesi e gli americani di cui poi diventò amico, spuntava un masaniello di nome Francesco “Ciccio” Franco che poi diventò senatore del Msi ma che fu famoso per aver lanciato lo slogan “Boja chi molla” su tutti i muri, e poi si vedevano e si leggevano tanti intellettuali di sinistra stupiti e affascinati perché lì a Reggio, nel 1970, sembrava di essere un po’ in Nicaragua e un po’ nella guerra di Spagna, ma a parti invertite.

E poi scesero i calibri massimi del giornalismo da Giorgio Bocca a Gianpaolo Pansa e qui mi fermo non potendoli nominare tutti anche perché ho scoperto con un certo doloroso ribrezzo di essere oggi l’ultimo e unico superstite di quella congrega attendata (lussuosamente peraltro) nel Grand Hotel Excelsior di Reggio, diventato l’avamposto, la sala stampa, il luogo di incontri e di malincontri, I reggini erano furibondi con i socialisti perché il loro leader Giacomo Mancini aveva concluso un patto con i democristiani in base al quale la Calabria avrebbe avuto una università, un’autostrada, un centro siderurgico, un giornale, industrie chimiche e una modernizzazione di cui aveva gran bisogno. Ma la spartizione prevedeva che il capoluogo fosse Catanzaro e non Reggio, da cui la furia dei reggini contro il democristiano Riccardo Misasi di Crotone e il socialista Giacomo Mancini di Cosenza, di cui si bruciavano le foto nelle piazze. E io ero inviato a Reggio per il quotidiano socialista Avanti!, cioè rappresentavo quanto di più odiato dai rivoltosi reggini. Cercarono di tendermi delle trappole un paio di volte e riuscii a rifugiarmi a Messina. Ma spesso dovevo cercare un passaggio su qualche macchina che si avventurasse oltre i piloni distrutti, i fuochi e le barricate. Per fortuna non esistevano i social, si era felicemente anonimi e quasi nessuno mi poteva riconoscere.

Però ricordo un viaggio particolarmente raggelante perché il conducente che mi ospitava seguitava a chiedermi: “Ma voi, questo grandissimo stronzo figlio di puttana e cornuto di Paolo Guzzanti, lo conoscete? Perché ci vorrei spaccare le corna personalmente con le mie mani. Glielo potete dire se lo incontrate?”. Giuravo di non conoscermi e di non potermi incontrare e feci in un certo modo amicizia con il mio potenziale carnefice che mi aveva in simpatia soltanto perché intravedeva attraverso di me (gli avevo detto di lavorare per una agenzia di stampa) l’opportunità di rompere personalmente le corna a quel grandissimo cornutissimo figlio di grandissima puttana di questo Paolo Guzzanti. Non mancherò, dicevo con tono rassicurante. Se ne capita l’occasione, ne stia pur certo.

LA CRONOLOGIA DEGLI EVENTI DEL 1970:

4 gennaio: nello Yunnan, in Cina, un terremoto di 7.7 gradi della scala Richter causa oltre quindicimila vittime

21 febbraio: a Istanbul prima posa per la costruzione del Ponte sul Bosforo, che verrà terminato nel 1973

5 marzo: entra in vigore il trattato di non proliferazione nucleare accettato da circa 100 nazioni. Non vi aderiscono Francia, India, Israele, Cina e Brasile

15 marzo: ad Osaka, in Giappone, viene inaugurato l’Expo ’70

10 aprile: si scioglie il gruppo musicale dei Beatles

31 maggio: in Perù un forte terremoto colpisce la città di Yungay, provocando 70.000 vittime

11 giugno: Anna Mae Hays diventa la prima donna ad essere nominata generale degli Stati Uniti d’America

17 giugno: si disputa la partita del secolo tra Italia e Germania Ovest ai mondiali messicani. Vince l’Italia 4 a 3

11 luglio: inaugurato il primo tunnel nei Pirenei che unisce i paesi francesi di Aragnouet e quello spagnolo di Bielsa

3-6 settembre: le forze israeliane si scontrano con i guerriglieri palestinesi nel Libano del sud

9 settembre: lo Stato africano della Guinea riconosce la Germania Est

18 settembre: viene ritrovato a Londra il cadavere di Jimi Hendrix

28 settembre: muore il presidente egiziano Nasser; sale al potere il suo vice, Anwar Sadat

25 novembre: Lo scrittore giapponese Yukio Mishima si suicida in diretta televisiva.

12 dicembre: a Milano, durante una manifestazione studentesca per commemorare l’anniversario della strage di piazza Fontana, Saverio Saltarelli, un giovane studente, viene ucciso a colpi d’arma da fuoco durante violenti scontri con la polizia

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Giornalista e politico è stato vicedirettore de Il Giornale. Membro della Fondazione Italia Usa è stato senatore nella XIV e XV legislatura per Forza Italia e deputato nella XVI per Il Popolo della Libertà.