Il guzzantino
Storia del 1968, quando i figli ribelli chiusero la bocca ai loro padri

Primavera. Claudio Orsi, presidente di Giovane Europa, impone al Congresso di Napoli lo scioglimento dell’organizzazione per fondare a Ferrara una “Italia-Cina”. Si tratta di una delle tante manovre “nazi-maoiste” dei gruppi legati a Franco Freda. Troppi cliché, luoghi comuni e frasi fatte sul Sessantotto e i suoi misteriosi sessantottini. Sicuramente fu l’anno in cui due continenti alla deriva si misero in collisione provocando maremoti e crolli. I due mondi erano, banalmente, il prima e il dopo. Il prima – sempre nel tentativo abusivo e frettoloso di tagliare la storia a fette – era il mondo autoritario.
Quello dei padri che dicono ai figli: si fa così e così e anche tu farai come tutti hanno sempre fatto. L’altro mondo era quello dei figli che disserro: non avete nulla da insegnarci perché il vostro mondo è cambiato e non sapete interpretarlo, noi siamo ancora puliti e vogliamo prendere tutto e subito, cacciarvi, chiudervi la bocca, per sempre. Questa fu certamente la novità più estrema e unificante. In Israele i bambini insegnavano ai genitori a leggere e scrivere, nel mondo occidentale le macchine erano sempre più complesse e gli anziani troppo conservatori da capire che cosa implicasse la conquista dello spazio o la rivoluzione maoista in Cina. Nelle università saltarono le baronie che poi tornarono con nuove dinastie: decapitati i re di Francia, poi arriva Napoleone con tutta la sua famiglia.
La liberazione sessuale arrivò con la liberazione della donna dall’incubo della gravidanza involontaria: spirali, pillola, l’avvio della legalizzazione dell’aborto, la negazione dell’autorità paterna e materna. Le coppie diventarono spesso avide di esperienze e di feroci inflizioni, l’instabilità cominciò a medicarsi con l’uso di droghe di massa che derivavano dalla guerra del Vietnam che aveva portato prima negli Stati Uniti e poi in Europa tonnellate di hashish, erba, Lsd, funghi allucinogeni e con questo materiale entrarono in campo visioni filosofiche mistiche e allucinate oltre che allucinogene, per cui se da una parte il Sessantotto prese la forma di una rivoluzione politica contro i governi, dall’altro prese la forma di una rivoluzione contro le strutture interne della società e della famiglia. Emerse la tossicità della famiglia, l’autoritarismo familiare e scolastico, la voracità indomabile di prendere subito tutto e senza esitazioni.
Non si può fare una generalizzazione amalgamata del Sessantotto (e degli anni che ne seguirono, fino agli Ottanta) perché ogni popolo e ogni genere e ogni razza e ogni età prese le armi contro l’oppressore vero o immaginario che fosse, spesso figlio soltanto di fantasmi, luoghi comuni, parole d’ordine ripetute nella babele linguistica che accompagnava e che era il Sessantotto. Il vento di Praga, dove il regime comunista era in crisi con l’arrivo del garbato Dubcek, portava odore di primavera. Tutto ciò che arrivava dalla Russia sovietica appariva prima di tutto decrepito, stantio, immobile, ottuso, come nei peggiori imperi e imperialismi della storia. Il mondo di allora – chi è giovane oggi stenterà a comprenderne le conseguenze. era pieno zeppo di spie. I sovietici si agitavano molto perché temevano che i regimi dei Paesi satelliti non reggessero. E guardavano alla Cecoslovacchia come al nuovo grande malato, dopo l’Ungheria del ‘56, e si apprestavano a somministrarle la stessa cura: una buona iniezione di carri armati.
La Polonia era già in subbuglio: non era ancora arrivato il papa polacco che provocherà lui il vero crollo del sistema, prima del decantato crollo del muro di Berlino. In Polonia, dove sono andato parecchie volte in quegli anni, trovavi questo Paese cattolico così diverso dall’Italia cattolica: gli operai andavano ogni giorno a fare la comunione tornati dalle fabbriche e dalle miniere e i loro sindacati erano cattolici e pieni di preti e i monsignori sedevano al caffè ricevendo i loro amici per discutere sotto gli occhi della polizia segreta e non era proprio come prendere un caffè ai Deux Magots con gli antisistema di Parigi. Ciò che accadde di straordinario, fu la simultaneità. L’ho raccontato nel precedente articolo; ero davanti alle telescriventi che mitragliavano notizie dagli Stati Uniti, la Cecoslovacchia, la Spagna franchista, la Francia gollista, il Messico, la Jugoslavia, la Germania occidentale (in quella dell’Est, cupezza grigia e assoluta), in Giappone, persino in Uruguay e in Africa.
La Cina Maoista si auto-divorava in una rivoluzione che mangiava la rivoluzione, ma lo strumento che unificava tutti era la musica, prevalentemente americana e di massa, i concerti, le comuni emozioni, le manifestazioni mano nella mano cantando We shall overcome, one day, ce la faremo, vedrete, e si spargeva quest’ottimismo del tutto folle e dissennato perché sembrava che nulla mai, potesse tornare come prima. I carri armati sovietici di un giorno d’estate a Praga fecero capire a tutti che finché si scherza, si scherza. I ragazzi di Praga correvano sui carri russi e tedeschi per parlare con i soldati, le ragazze offrivano fiori ai carristi dagli occhi kirghisi o mongoli, che non capivano e urlavano e qualcuno nella furia e nella frustrazione sparava e uccideva e restavano quei corpi di ragazzi morti sulle strade di Praga. In Italia si sparse il sangue, in scontri che ricordavano l’Ottocento, anziché l’epoca moderna. Ad Avola, fine novembre, tremila braccianti in sciopero affrontarono la polizia che sparò nel mucchio.
Due uccisi, una bambina di tre anni ferita, quarantotto persone in ospedale per ferite da arma da fuoco. Questo incidente gravissimo e figlio di un’altra epoca causerà i fatti di Battipaglia dell’anno successivo e i sindacati non riuscivano più a contenere la furia che cresceva dal basso. Tutto ciò che era vecchio, tremava come un pollo alla vigilia di Natale. A Parigi, dove l’altezzoso Partito comunista francese aveva definito “gruppuscoli” i giovani di sinistra che contestavano il partito, si svolse una manifestazione gigantesca con oltre centomila dimostranti che passarono sotto le finestre del partito scandendo lo slogan “Nous sommes les gruppuscules”, noi siamo i gruppuscoli. Nella Chiesa cattolica erano nati i preti operai, in America Latina molti preti passavano alla rivoluzione guevarista mettendo le basi della cosiddetta “teologia della liberazione”: se devi scegliere se avere accanto un crocefisso o un mitra, scegli il mitra, tanto Cristo ti guarda e ti ama lo stesso. In Italia l’estrema destra era impazzita: vedeva questa rivoluzione di sinistra che però era antisistema, e ne andava pazza. Di invidia. Di qui tutti i tentativi di mettere insieme pezzi di nazi-maoismo, sotto gli occhi molto comprensivi e interessati del Kgb sovietico e in parte anche dalla Cia che cercavano in ogni modo di introdurre infiltrati, avere il comando dei gruppuscoli, portare i loro uomini a inserirsi e fare una campagna acquisti.
Il principe Junio Valerio Borghese che aveva guidato un corpo speciale della marina durante la guerra e che godeva delle simpatie americane e inglesi fondò un Fronte Nazionale a favore della scheda bianca “da schiacciare in faccia ai partiti” e cominciarono a scoppiare bombe. Piccole bombe. Dimostrative. Alle stazioni di servizio a novembre, poi davanti alle scuole, e tutti sentivano una particolare puzza di servizi segreti, di operazioni occulte, reclutamenti. Anche la mafia siciliana – ancora non si diceva con certezza “Cosa nostra” come si farà dopo l’interrogatorio di Falcone al pentito Buscetta – era in fermento fra il vecchio e nuovo, non certo perché fosse scossa da vibrazioni morali, ma diventava semmai sempre più complicato individuare il potere con cui trattare. Era allora a capo dell’organizzazione Luciano Leggio, detto – chissà perché – Liggio e tutti dicevano che era protetto dalla Procura di Palermo, guidata da Pietro Scaglione. Contro questa apparente impunità insorse l’intera sinistra, da Umberto Terracini a Emanuele Macaluso, da Girolamo Li Causi a Sandro Pertini e dal presidente dell’Antimafia Francesco Cattanei. Liggio, malato di tubercolosi ossea, girava per le cliniche italiane nell’indifferenza delle autorità di polizia.
Il procuratore Pietro Scaglione fu scagionato dal ministro degli Interni Franco Restivo e poco dopo si celebrò un processone contro i capi della mafia a Catanzaro da cui uscirono con pochissimi danni alcuni fra i più bei nomi della cupola fra cui lo stesso Liggio, Gaetano Badalamenti, Angelo La Barbera e Totò Greco. Scaglione sarà assassinato tre anni dopo e più tardi ancora il pentito Buscetta, fornitore di prima mano di notizie a Giovanni Falcone, dirà che Scaglione non era un giudice mafioso e che lo avevano incastrato. Stava cominciando una nuova terribile partita in Italia, di cui quelli erano gli albori quasi inosservati fra le fiamme e le esplosioni del Sessantotto dei giovani insorti. L’anno successivo sarà degli operai e poi l’anno della terribile strage di piazza Fontana, il nuovo mostro. Molte uova di serpente erano state deposte e avrebbero cominciato a schiudersi una dopo l’altra.
(2 – Fine)
© Riproduzione riservata