Quell’anno è riassunto in una famosa vignetta di Giorgio Forattini, allora genio del quotidiano comunista romano “Paese sera” – e che diventerà l’editorialista grafico della prima pagina di “Repubblica” quando nascerà nel 1976 anche se poi Giorgio e la sinistra divorziarono clamorosamente. La vignetta era quella di una bottiglia di champagne da cui salta il tappo con la faccia di Amintore Fanfani. Sono passati troppi anni perché tutti possano capire e ricordare, la maggior parte di chi legge probabilmente non c’era o era troppo piccola e quindi va ricordato che il divorzio istituito in Italia del 1970 fu frontalmente minacciato da un referendum abrogativo voluto a tutti i costi dal leader democristiano Amintore Fanfani che era un uomo molto complesso è molto basso.

La sua statura lo aveva messo in imbarazzo più volte come quando i fotografi lo colsero su un podio da cui parlava sostenuto da pile di libri per farlo arrivare al microfono. Amintore era un uomo determinatissimo, colto, ai tempi del fascismo fascistissimo e poi anticomunistissimo, tanto da voler rappresentare lui da solo la sinistra della DC, con il proposito di occupare tutto lo spazio disponibile a sinistra per chiuderlo ai socialisti e non parliamo dei comunisti.
Per una casuale circostanza mi capitò di conoscerlo poco tempo prima che morisse e per misteri della chimica umana diventammo amici all’istante e mi raccontò molto della sua vita chiamandomi, lui aretino, “Oh barbarossa! Vieni che ti voglio raccontare del divorzio”. E raccontava di se stesso come se parlasse di qualcun altro, con inaspettata ironia. Aveva combattuto una guerra da don Chisciotte, disse, e lo sapeva “ma qualcuno la doveva pur fare e io l’ho fatta,” era la sua spiegazione.

Imparai così che era un uomo non solo tosto ma anche molto spiritoso, raffinato e determinato come pochissimi. Per questo da sinistra era anche visto come un fascista, visto che la sua biografia del resto autorizzava perfettamente una tale definizione che peraltro calzava a pennello con quasi tutti i politici italiani che non provenissero direttamente dalla Resistenza. Amintore Fanfani, dunque, si era messo in testa di cancellare dall’Italia cattolica la vergogna sciagurata del divorzio voluto dai nemici della Chiesa e dell’ordine costituito da nostro signore portando soltanto promiscuità, tradimenti, distruzione del nucleo familiare. Andava contro la storia, contro la logica e contro la comune legislazione dei paesi occidentali, avvicinandosi più alla Spagna del dittatore Francisco Franco che alla Francia dei “Lumi” o all’ Inghilterra della Common Law. Si incaponì e scatenò una vera guerra di religione che diventò una guerra di parole violentissime fra destra e sinistra, benché il divorzio all’inizio non fosse gradito ai comunisti che per anni ne avevano visto l’insidiosità sociale esattamente come i cattolici, che del resto aveva sostenuto già nel 1947 con l’’approvazione dell’articolo 7 della Costituzione che riconosceva i Patti Lateranensi fra Mussolini e il Vaticano.

Il divorzio avrebbe distrutto la struttura tradizionale delle famiglie e avrebbe scatenato l’epidemia della libertà sessuale già visibile dall’inarrestabile diffusione della pillola anticoncezionale, grazie alla quale ogni donna avrebbe potuto disporre del suo corpo senza rischiare sgradite gravidanze. Andreotti, d’accordo col Vaticano, aveva tentato una mediazione: potranno divorziare tutti coloro che hanno contratto matrimoni civili ma non quelli religiosi. Ma non ebbe fortuna. Gli italiani andarono alle urne il 12 e il 13 maggio del 1974 e il risultato fu nettissimo: per il divorzio (e quindi contro la sua abolizione) votò quasi il sessanta per cento degli italiani. Il Sud “borbonico” ma non la Sicilia, votarono contro il divorzio, come votò anche il Veneto che allora era una regione “bianca” cioè cattolica prima di tutto e democristiana, quando ancora la Liga Veneta era lontana. Ma i trentini e gli altoatesini furono divorzisti.

Oggi è quasi impossibile riprodurre il ricordo di quell’epoca e quegli umori, che furono straordinari, eccitatissimi, e dividevano sia credenti e atei che gente di destra e di sinistra, perché la frontalità di quello scontro fu così apocalittica da sembrare quasi un match sportivo. E il tappo, Amintore Fanfani, l’uomo più basso d’Italia, e più ostinato, saltò.
Il referendum fu bocciato. Gli italiani volevano divorziare e se ne infischiavano delle direttive di Santa madre chiesa così come se ne sarebbero infischiati al momento in cui confermarono la libertà di aborto sei anni più tardi. Dal punto di vista politico fu un momento magico perché si ritrovarono insieme a sinistra tutte le anime laiche compresi molti fascisti, tra l’esultanza in particolare dei socialisti che erano stati i veri promotori della legge sul divorzio, e di Marco Pannella e dei radicali che l’ avevano a tutti i costi adottata come loro bandiera.

Fanfani, che aveva condotto la sua crociata come segretario della DC confessò (anche a me nei nostri strampalati colloqui, peraltro molto divertenti) di aver generato quella catastrofe con l’intenzione di arginare i comunisti: secondo lui il Pci aveva rotto il suo isolamento abbracciando una bandiera che non era la sua, quella del divorzio, per creare le premesse di un sorpasso e un collante che avrebbe messo insieme un comune sentire di sinistra che includeva anche le ordinate bandiere del partito comunista. E le cose andarono proprio come lui temeva. Il Pci si saldò con i laici e le quotazioni di Fanfani cominciarono a calare dentro il partito di maggioranza relativa. L’anno successivo, Fanfani avrebbe dovuto cedere la segreteria a Benigno Zaccagnini, della sinistra interna, che si insedierà con l’inquietante nomignolo di “onesto Zac”, un preludio della futura questione morale già innescata da Enrico Berlinguer.

La festa per la vittoria del divorzio fu eccitata e grandiosa. L’Italia usciva da una prova molto difficile in cui si era formata una maggioranza di sinistra e laica che arrivava fino ai liberali di Giovanni Malagodi molto forte e tuttavia era un paese che doveva ancora attendersi una quantità di traumi violenti e inspiegabili a meno che non si accetti sempre l’etichetta della strategia della tensione che serviva per mettere insieme tutti quegli atti di terrorismo e violenza che sembravano privi di una spiegazione semplicemente logica. Dopo la vittoria del divorzio venne infatti la strage di piazza della Loggia a Brescia il 28 maggio alle 10 del mattino, nel corso di un comizio sindacale, quando un ordigno nascosto in un cassonetto esplose uccidendo 5 giovani insegnanti, due operai e un pensionato e ferendo più di 100 persone. Era chiaramente un atto terroristico contro gli antifascisti e dunque palesemente una aggressione di forze oscure di estrema destra quel era a quei tempi il movimento Ordine nuovo che era stato fondato nel 1963 da personale militare e con la presenza di uomini che provenivano dai servizi segreti. Quella strage e le indagini che ne seguirono furono un altro dei grandi tormenti della Repubblica, cominciati con la strage di piazza Fontana del 12 dicembre 1969.

Soltanto nel febbraio del 2014, con una sentenza della Cassazione, alcuni degli imputati furono riconosciuti definitivamente colpevoli benché manchi ancora un frammento di verità coperto dal segreto di Stato che Matteo Renzi aveva abolito con una direttiva del suo governo ma senza che questa direttiva diventasse, a quanto pare, efficace. Il 4 agosto, altra strage. Stavolta in treno: l’ Italicus. All’una di notte sulla carrozza 5 dell’espresso Roma-Monaco di Baviera, l’Italicus, scoppiò una bomba molto potente che provocò morti e feriti. Anche stavolta l’attentato fu riconosciuto di matrice fascista e il paese nel suo complesso avvertiva presenze sempre più minacciose e incontrollate che agivano, provocando moti di paura e di sfiducia (è esattamente questo lo scopo del terrorismo) oltre a generale i meccanismi virtuosi o perversi di tutte le teorie complottistiche che trovavano radici sia nella guerra fredda che nella storia italiana durante il fascismo e la guerra.

A Milano nasce il giornale di Indro Montanelli. Nasce come giornale della maggioranza silenziosa borghese laboriosa e anticomunista che fino a quel momento si era sentita sottomessa al mobbing sindacale intellettuale e politico della sinistra. Quella di Indro Montanelli fu una parabola molto curiosa perché partita con un tono radicalmente anticomunista si concluse vent’anni dopo nell’antiberlusconismo militante, fino alla fatidica presentazione di Serena Dandini che lo annunciò sugli schermi televisivi di RaiTre con le fatidiche parole: “Signore e signori, il compagno Indro Montanelli”. Montanelli era stato un grande laico anche fascista ma molto meno fascista di tanti altri, inviato principe del “Corriere della Sera” che Mussolini personalmente aveva spedito a raccontare la guerra che Stalin mosse alla Finlandia nel dicembre del 1939 subito dopo l’invasione della Polonia e che era parte del pacchetto stabilito con i trattati tra Ribbentrop e Molotov. Ma Mussolini era gelosissimo di quell’alleanza, e quando Stalin attaccò la Finlandia e i tedeschi facevano il tifo per Mosca, il duce tentò di far avere ai finlandesi degli aerei spediti per ferrovia che i tedeschi si rifiutarono di far passare.

Il miglior giornalista italiano si trovava già ad Helsinki per caso e quando i sovietici attaccarono i finlandesi, il “Corriere” ebbe il permesso di pubblicare le magnifiche corrispondenze sulla resistenza e l’eroismo del piccolo esercito finlandese. Come ha raccontato meglio di tutti Curzio Malaparte, il capo del fascismo più che censore si riteneva redattore capo di tutti i giornali italiani e spostava o ritirava corrispondenti e inviati secondo i suoi gusti. Malaparte scrisse che Mussolini essendo molto geloso di lui, lo spediva ora al confino o per qualche grande reportage. Montanelli era stato usato anche per dar fastidio ai tedeschi e per poco non ci lasciò la pelle.

Dopo la guerra diventò il campione dell’anticomunismo, specialmente quando raccontò con la sua piccola Olivetti sulle ginocchia la sventurata rivoluzione degli studenti e operai ungheresi contro i carri armati sovietici nel 1956. Nel 1974 lasciò il “Corriere della Sera” – ormai nettamente orientato a sinistra con l’arrivo di Piero Ottone e se ne andò con alcuni fra i migliori giornalisti e inviati. Si disse allora che Montanelli aveva portato via dal “Corriere” l’argenteria. E cominciò l’avventura di un giornale anticonformista di destra, ma assolutamente non fascista, per il quale Indro pagò il suo pedaggio, gambizzato dalle Brigate Rosse.

(Fine prima parte – continua)

 

CRONOLOGIA DEGLI EVENTI DEL 1974:

4 gennaio: a Washington il presidente Richard Nixon rifiuta di consegnare il materiale richiesto dal comitato di indagine del Senato sullo scandalo Watergate

15 gennaio: debutta sulla rete televisiva americana Abc la serie Happy Days

13 febbraio: l’Unione Sovietica espelle il dissidente Aleksandr Solženicyn, accusato di aver svolto attività antisovietiche

24 febbraio: protesta dei detenuti del carcere di Firenze “Le Murate” che chiedono l’attuazione della riforma carceraria. Il detenuto Giancarlo Del Padrone, 20 anni, muore falciato da una raffica di mitra esplosa da un agente di custodia

9 marzo: Iva Zanicchi vince con Ciao cara come stai? la XXIV edizione del Festival di Sanremo

18 marzo: dopo due trasferimenti di sede, ha inizio il processo a Catanzaro per la strage di Piazza Fontana a carico di Pietro Valpreda e Mario Merlino. Nel giro di qualche settimana il procedimento si arresta per il coinvolgimento come imputati di Franco Freda e Giovanni Ventura

9-17 aprile: Camera e Senato approvano la legge 195 sul finanziamento pubblico dei partiti

18 aprile: le Brigate Rosse rapiscono il magistrato Mario Sossi, pubblico ministero nel processo contro il gruppo XXII Ottobre; Il 5 maggio le BR propongono lo scambio dell’ostaggio con gli imputati

9 maggio: una rivolta nel carcere di Alessandria provoca sette morti a seguito dell’intervento dei carabinieri

16 maggio: viene arrestato Luciano Liggio

23 maggio: le Brigate Rosse procedono alla liberazione di Mario Sossi in cambio di quella dei membri del Gruppo XXII Ottobre

28 maggio: esplode una bomba in piazza della Loggia a Brescia durante una manifestazione sindacale provocando 8 morti e 101 feriti

25 giugno: Indro Montanelli fonda Il Giornale Nuovo

12 luglio: l’editore Rizzoli acquista le quote azionarie del Corriere della Sera

4 agosto: “strage dell’Italicus” a San Benedetto Val di Sambro. Una bomba esplode nella carrozza 5 dell’espresso Roma-Monaco mentre sta uscendo dalla galleria dell’Appennino. L’attentato, che causa 12 morti e 44 feriti, è rivendicato dal gruppo neofascista Ordine Nero come vendetta per la morte del militante Giancarlo Degli Esposti

9 agosto: Richard Nixon si dimette dalla carica di presidente degli Stati Uniti; subentra alla carica il suo vice Gerald Ford

2 ottobre: la FIAT mette in cassa integrazione 65.000 operai a causa della crisi del settore automobilistico

23 novembre: nasce il IV governo Moro, composto da DC e PRI con l’appoggio esterno di PSDI e PSI

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Giornalista e politico è stato vicedirettore de Il Giornale. Membro della Fondazione Italia Usa è stato senatore nella XIV e XV legislatura per Forza Italia e deputato nella XVI per Il Popolo della Libertà.