Se vogliamo sperare che le cronache di questi giorni sul respingimento dei moribondi sollevino uno scandalo sufficiente a non farne una semplice puntata della solita storia, allora dobbiamo piantarla di attribuire esclusivamente alla ferocia sovranista le politiche che ormai da decenni assistono a questa tragedia. Se solo vi assistono: perché più spesso vi contribuiscono.

“La sorveglianza dell’immigrazione clandestina attuata anche in mare”, disse un leader progressista, “rientra nella doverosa tutela della nostra sicurezza e nel rispetto della legalità che il governo ha il dovere di perseguire”. E non importa il fatto che una simile rivendicazione programmatica, in sé anche neutra, potrebbe essere sottoscritta senza nessuna perplessità da un odierno governante di destra: importa che quella difesa fu svolta dopo lo speronamento di una nave carica di disgraziati albanesi, e ne morirono più di cento. Perché dopotutto, allora come oggi, si tratta di questo: della morte per fame, per sete, per affogamento, davanti alle nostre spiagge e spesso a pochi metri dai nostri moli, di migliaia e migliaia di persone la cui morte costituisce l’inevitabile posta di bilancio di quelle politiche.

Le polemiche sul “carico residuale”, come il ministro dell’Interno definisce il risultamento discriminatorio delle operazioni che lasciano in mare i moribondi lievi, sono comprensibili e giustificatissime: ma a patto di riconoscere che quella brutale dicitura descrive una realtà che in modo innominato, e senza lo scandalo di oggi, abbiamo visto ripetersi molte volte e sotto governi di ogni colore. La riduzione dei migranti a carne da esperimento elettorale, col capopopolo Ruspa&Ordine che nel comizio impugna il rosario e annuncia la fine della pacchia in nome di Gesù Cristo, deve ricevere una requisitoria civile senza tregua, ma non si fa questo se ci si dimentica dell’oligarca democratico emiliano, Stefano Bonaccini, che quando sente puzza di vittoria dell’avversario argomenta che “Serve molto rigore nella gestione del fenomeno, per evitare che torni a essere un argomento in mano alla propaganda leghista”: laddove il fenomeno è appunto l’immigrazione, e il “rigore” è l’altro nome della pacchia che finisce, così come “la correlazione evidente tra Covid e immigrazione” (Marco Minniti) è la versione presentabile – ma più oscena, perché agghindata di pretesa statistica – del fine proclama secondo cui i negri portano le malattie.

L’ignominia della propaganda populista che denuncia il trattamento alberghiero dei migranti, e ancora per bieco fine elettorale lo oppone all’indigenza dei figli d’Italia, merita la censura che merita: ma non cancella l’ordinaria e trasversale accettazione, come se fosse l’inevitabile carriera umana di chi ha la pelle di un altro colore, dello smistamento di quella gente verso la piantagione schiavista o nelle piazze dello spaccio tenute in funzione dal regime proibizionista; quello che non casualmente, e nella noncuranza di tutti, riempie perlopiù di stranieri poveri le carceri di questo nostro bel Paese. Non è un fatto di destra o di sinistra il maltrattamento dei migranti: è una vergogna italiana.