Carlo Cottarelli doveva essere candidato come capolista in un progetto Azione con +Europa ed altri, ma non se ne farà più niente. Oggi sta preparando un libro sulla sua vicenda politica che la racconta tutta, dall’inizio a questi giorni. Una parabola che se non è interrotta per sempre, ora è sospesa: le liti intorno alla lista europeista ha fatto traboccare il vaso della sua pazienza. Dopo aver dato la disponibilità a guidare la coalizione dei partiti centristi – con il caveat di vederli uniti in un progetto – ha preso atto della incompatibilità dei soggetti e rinunciato alla candidatura.

D’altronde il professore, economista della Cattolica di Milano, ha sempre detto di non essere un uomo per tutte le stagioni. Lo ricordiamo nel 2018 – in quella immagine indelebile – varcare il portone del Quirinale con il trolley, pronto a ripartire. Premier incaricato per lo spazio di una verifica di governo impraticabile. Economista liberale e civil servant pronto a misurarsi con le istituzioni, che ha lasciato il seggio in Senato solo sette mesi dopo essere stato eletto – ai ferri corti con un Pd diventato tutt’altro che riformista – ha deciso di dedicarsi alla pedagogia della politica: pagandosi tutti i viaggi da solo, gira le scuole di ogni periferia d’Italia per incontrare gli studenti ai quali parlare di democrazia, Costituzione, economia e lavoro.

Cottarelli, la sua candidatura alle Europee?
«Salvo sorprese dell’ultimo momento, con l’attuale assetto dell’area liberaldemocratica, è esclusa». Possibile non si riesca a mettere insieme il fronte europeista? «È da un secolo che è così. Da cento anni i liberaldemocratici sono divisi: se andiamo a guardare cosa diceva Renzo De Felice nella sua biografia di Mussolini ci troviamo un passaggio sulle elezioni del 1924 dove dice che il fattore di successo decisivo del fascismo fu la frammentazione dell’area liberaldemocratica, dominata da personalismi».
All’epoca non c’era l’europeismo.
«C’era l’opposizione al nazionalismo, la cui evoluzione democratica è l’europeismo. Lei affonda agli inizi del Novecento. Poi fu il secolo dei grandi partiti che seppero unire orientamenti diversi, si pensi alla grande Dc, ma anche al Pci e al Psi… «La Democrazia Cristiana rappresentava un fronte conservatore. L’area liberaldemocratica contava sul Psdi, sul Pri, sul Pli e sui radicali di Pannella. Tutti piccoli e in qualche modo divisi anche al loro interno».
Come oggi i soggetti del centro.
«Io mi sento più vicino a Azione e +Europa, avrei voluto vedere insieme Calenda e Emma Bonino. Speravo potessero superare le divergenze. Magari anche con Renzi, ma sembra non si riescano a capire. Pazienza. E peccato».
Manca lo spirito giusto, forse anche la consapevolezza del rischio che corriamo in un’Europa sovranista?
«Bisogna vedere la questione dall’interno, non le so dire perché il progetto unitario della lista di scopo non riesca a partire, non le so dire torti e ragioni. Lo spirito giusto è capire che non possiamo tornare indietro su tanti temi: i diritti civili, il rapporto cittadino-istituzioni. E l’Europa è la dimensione con la quale il cittadino oggi deve fare i conti».

Gli scenari internazionali rimango instabili.
«Per ora le guerre stanno avendo un impatto limitato sulla nostra economia. Le borse di tutto il mondo stanno andando abbastanza bene e prevale l’ottimismo legato al tasso al taglio dei tassi di interesse che ormai sembra imminente e alla riduzione dei tassi a lungo termine che già avvenuta e che spiega anche in parte la riduzione dello spread in Italia. Speriamo si arrivi alla pace in Ucraina e in Medio Oriente, più per il rispetto della vita umana che per le preoccupazioni dei mercati».
E torniamo all’Europa, si vota. E si vota anche il presidente americano…
«Lo scenario ha due prospettive. In Europa, se da un lato non sembra emergere un parlamento a maggioranza sovranista, è chiaro che la parte sovranista, di quelli che vogliono meno Europa, probabilmente guadagnerà consenso. Poi ci sono gli Stati Uniti. Per l’Europa un nuovo mandato di Trump sarebbe un bel problema, con la sua posizione isolazionista e antagonista dell’Europa, sul piano strategico-militare ma anche commerciale. Con Trump potrebbero salire i dazi sulle importazioni dall’Europa».
Pesa anche Putin, elemento di instabilità forte.
«La soluzione a quello che sta succedendo in Ucraina sta nel dare a Kiev tutto il sostegno possibile. Al tempo stesso, a un certo punto bisognerà arrivare a un tavolo di negoziati per arrivare a una pace accettabile. Il rischio dell’escalation c’è, per ora solo nei toni».
Quanto alla nostra economia, siamo davanti a un vero boom?
«Quando parliamo di boom parliamo prima di tutto della produzione: non c’è dubbio che dopo il covid abbiamo avuto una ripresa un po’ più forte della media europea e anche negli ultimi dati stiamo crescendo nel 2023».
Poco sopra la media Ue…
«Siamo cresciuti un po’ più della media europea: la crescita del PIL – che è quello che si produce e quello che si distribuisce – è anche il reddito medio, è quello aumentato grosso modo dello 0,9% nel 2023. In Europa si è fatto lo 0,7, quindi siamo cresciuti un po’ più della media. Bene ma non è una cosa eccezionale. Spagna e Portogallo crescono sopra al 2%, loro vanno davvero bene. Chi va male è la Germania».

Poi c’è il dato sull’occupazione, sbandierata dal governo.
«Apparentemente c’è la crescita dell’occupazione perché aumenta il numero di occupati. Se però mettiamo insieme i due dati di Pil e occupazione ci accorgiamo di una cosa che non è tanto bella: lavoriamo di più, però la spinta sulla produzione non è molto elevata. C’è molta più crescita dell’occupazione che della produzione. Il che vuol dire che stiamo riducendo il prodotto per lavoratore o in altri termini, stiamo creando posti di lavoro che sono a basso livello di produttività, di valore aggiunto».
Qual è la spiegazione, secondo lei?
«In parte non sono davvero nuovi posti di lavoro ma l’emersione di lavori in nero dopo l’eliminazione del reddito di cittadinanza. Era lavoro in nero, adesso emerge».
L’asse con l’Europa favorisce la crescita?
«Certamente. Questa performance di crescita del Pil che abbiamo avuto negli ultimi anni è portata anche dalla marea di soldi che ci sono stati dati dalle istituzioni europee. Prima dalla Banca Centrale Europea, poi da Next Generetion Eu. Abbiamo ricevuto al 2020 al 2022 qualcosa come 300 miliardi di euro dalla BCE. E poi ci sono quasi ducento miliardi del Pnrr. Una bella differenza rispetto a prima».
Supebonus, Quota100 e RdC sono tre zavorre pesanti che però dobbiamo ripagare…
«Sì, salvo che è intervenuto un meccanismo che è quello dell’inflazione. Ci ha consentito nononstante tutte queste spese un rapporto debito pubblico/ Pil abbastanza contenuto. Oggi al 137%, non molto più alto del 135% pre-Covid. Sa come mai abbiamo fatto queste spese, queste montagne di deficit e il debito pubblico non è aumentato molto? Perché l’inflazione del 2021, 2022 e in parte 2023 ha eroso il valore dei titoli di Stato in circolazione. È stata una tassa nascosta sui detentori direttamente o indirettamente di debito pubblico. Molte famiglie italiane ci hanno perso, è stata una tassa nascosta».
Ma il peggio è passato.
«Non del tutto. Adesso c’è un altro effetto: alcune di quelle spese, già registrate nel deficit – il Supebonus 110% e gli altri bonus edilizi – avranno un impatto di cassa nei prossimi anni. E questo crea un problema per l’andamento futuro del rapporto tra debito pubblico e PIL. Per alcune di queste spese il conto non è stato ancora pagato».
A proposito di spese, il potere d’acquisto degli italiani quando si riapprezzerà?
«Se guardiamo al reddito medio degli italiani, quello si è già ripreso: il rapporto tra reddito medio e i prezzi, cioè il reddito medio in termini reali ha già superato il valore del 2019. Quello che è cambiato è la distribuzione del reddito».
Come?
«Nel 2021 e 2022 i prezzi sono aumentati più dei salari. Questo si sta pian piano correggendo, adesso i salari medi stanno crescendo più dell’inflazione, però ci vuole un po’ di tempo perché questo perché si torni sui livelli del 2023».
La spinta iniziale dei prezzi era dovuta all’aumento delle materie prime?
«Sì, e adesso è più contenuto: siamo tornati al livello del 2019 per quasi tutti i prodotti. In teoria i prezzi dei prodotti al superemercato dovrebbero scendere. Siccome nella realtà non scendono quasi mai, bisogna aspettare che siano invece i salari a recuperare».
Sta girando le scuole di periferia, in tutta Italia. Cosa le chiedono gli studenti?
«Cosa ne sarà del loro futuro, come faranno a trovare lavoro».
E cosa risponde?
«Che il futuro dipende da quello che facciamo. Bisogna impegnarci tutti per fare di questo Paese un posto dove fare attività di impresa, rimboccarsi le maniche, tirare fuori le idee e investire».

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Ph.D. in Dottrine politiche, ha iniziato a scrivere per il Riformista nel 2003. Scrive di attualità e politica con interviste e inchieste.