Neanche l’art. 16 Cost. serve alla bisogna: le limitazioni imposte alla libertà di circolazione e di soggiorno in determinate parti del territorio nazionale per motivi di sanità devono essere disposte in via generale dalla legge. Nel caso nostro manca la legge, e le limitazioni riguardano sì la generalità dei residenti, ma identificano una sorta di disciplina modulare (nebulosa e incerta) delle entrate e delle uscite dagli arresti domiciliari. Finiscono dunque con lo specializzarsi necessariamente sul singolo, qui, ora, in un determinato caso. E allora entriamo a vele spiegate nell’art. 13 Cost. che considera la libertà personale «inviolabile» ed esige la determinazione legale dei casi e dei modi della sua limitazione, rimettendone poi al giudice il necessario riscontro in sede di applicazione della misura restrittiva. Ovviamente di tutto questo non si rinviene traccia. Del resto, la legge generale sulla protezione civile autorizza sì l’emanazione di provvedimenti amministrativi straordinari, anche in contrasto con le leggi vigenti nel rispetto dei principi dell’ordinamento, ma certo non autorizza la deroga alla Costituzione.

Deroga alla Costituzione significa stato di eccezione; e chi ha il potere di dichiararlo e di gestirne il regime è il vero titolare della sovranità. Lo diceva Carl Schmitt, che in materia era versato, e continua a valere anche oggi. Sulla scia del titolare emerso si sono ovviamente accodati i gerenti locali, ristabilendo un po’ degli antichi stati preunitari: conservo un passaporto rilasciato da S. S. Gregorio XVI per il transito dall’Umbria alla Toscana. Chissà che non possa tornare utile.

La labilità indefinita del cumulo di ordinanze è ovviamente gestita da agenti cui spetta dar concretezza al vacuo e consistenza al vuoto, con piena e perfetta discrezionalità. Ne discende la trasformazione della libertà personale in un interesse solo vagamente e occasionalmente protetto. Le violazioni, accertate o presunte (le situazioni sono spesso intercambiabili), comportano pesanti sanzioni pecuniarie contro la cui applicazione si potrà certo ricorrere e, alla fine, approdare anche al giudice: a spese del malcapitato, naturalmente. Che veda riconosciuto o negato il proprio buon “diritto” (per modo di dire), costui avrà alla fine pagato una tassa per la libertà.

Il libraio cui manifestavo stupore, perché la libreria era vuota dopo giorni dalla riapertura, mi ha replicato che i clienti si sentono impauriti: la forza pubblica ha contestato la legittimità all’uscita di casa per acquistare libri; la necessità dell’evasione dovrebbe essere sorretta da acquisti in farmacia o in negozi alimentari; se poi di strada ci fosse anche una libreria… Un colpo di stato sanitario, ho esclamato; e abbiamo riso infelici: c’era ben poco da ridere.

In una condizione di tale labilità e di tale confusione, certo e sicuro è solo il degrado estremo della legalità. E se questa è la condizione dei cittadini, che ne sarà dei brandelli di legalità cui è (quando è) appesa la condizione dei carcerati? Si abbasserà, in puntuale aderenza al criterio della estrema marginalità. La condizione carceraria dovrà essere più opaca, più chiusa, più impenetrabile, più arbitraria, più crudele.

Una volta liberato dalla sua maschera, il volto demoniaco del potere è quello di Medusa: impietrisce chi lo guarda. E non sarà facile, non sarà semplice, recuperare il terreno così repentinamente perduto. Forse non sarà nemmeno possibile, a causa degli sconvolgimenti che ci accompagneranno nei prossimi anni. Scriveva qualche giorno fa Mattia Feltri che vi fu, tra i nostri padri, chi era disposto a dare la vita per la libertà; noi rischiamo invece di perdere la libertà per salvare, forse, la vita. E questo potrà dire qualcosa di noi.

 

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