Non passa giorno che le organizzazioni internazionali non intervengano per richiamare gli Stati alla tutela dei diritti di chi è privato della libertà personale. Ed è sempre un buon esercizio ampliare la propria visuale perché facilita la messa a fuoco dei problemi da risolvere.  Se guardiamo dalla prospettiva del Consiglio d’Europa vediamo che la sua Segretaria generale, Marija Pejčinović Burić, che è la depositaria della Convenzione europea per i diritti umani, ha pubblicato un documento destinato ai Governi sul rispetto dei diritti umani, della democrazia e dello Stato di diritto durante la crisi del COVID-19. «Il virus sta distruggendo un gran numero di vite umane… Non dobbiamo permettere che distrugga i nostri valori fondamentali e le nostre società libere», ha dichiarato.

Secondo la Burić «la principale sfida sociale, politica e giuridica che devono affrontare i nostri Stati membri sarà quella di dimostrare la loro capacità di reagire efficacemente a questa crisi, garantendo al contempo che le misure adottate non pregiudichino la nostra reale attenzione, sul lungo periodo, alla salvaguardia dei valori fondanti dell’Europa: rispetto dei diritti umani, della democrazia e dello Stato di diritto”.  La Segretaria Generale del Consiglio d’Europa si sofferma su quelle che sono le norme fondamentali in materia di diritti umani per dire che il diritto alla vita ed il divieto di tortura e trattamenti o punizioni inumane o degradanti non ammettono deroghe, neppure in casi di emergenza come questo del COVID-19. Anzi, sono tali da richiedere un positivo obbligo di cura contro la mortale malattia e le sue sofferenze. La Convenzione obbliga cioè gli Stati ad assicurare costantemente un adeguato livello di cura delle persone private della libertà.

La Burić richiama il documento adottato dal Comitato europeo per la prevenzione della tortura sul trattamento delle persone private della libertà personale e la dichiarazione della Commissaria per i diritti umani del Consiglio d’Europa, Dunja Mijatović, che si è voluta soffermare in particolare sui reclusi in carcere. È preoccupata per i detenuti che sono tra i più esposti al contagio poiché, in generale, le carceri non sono idonee a fronteggiare epidemie su larga scala, non potendo le misure minime di prevenzione, come la distanza e l’igiene, essere rispettate come fuori dal carcere. Incidono anche il sovraffollamento così come le carenze materiali. E allora, nel passare in rassegna le misure adottate dai singoli Stati per far fronte alla pandemia in carcere, Dunja Mijatović menziona, insieme al rilascio anticipato o temporaneo, ai domiciliari, alle commutazioni e alla sospensione delle indagini o dell’esecuzione della sentenza, anche l’amnistia.

Finalmente! Perché questa parola ha bisogno di essere rimessa in circolazione. D’altro canto, questa parola si riaffaccia in un altro importante documento del Consiglio d’Europa pubblicato questa settimana. Nel Rapporto SPACE del Consiglio d’Europa sulle carceri europee si legge infatti che tra il 2018 e 2019, in tempi certamente diversi da quelli attuali, ben 6 Paesi hanno adottato provvedimenti di amnistia, seppur di diversa portata (Armenia, Lituania, Moldavia, Nord Macedonia, Russia e Serbia). Può servire notare anche che 14 Paesi hanno adottato clemenze individuali o collettive (Austria, Bulgaria, Cipro, Repubblica Ceca, Estonia, Francia, Lettonia, Lituania, Lussemburgo, Moldova, Nord Macedonia, Russia, Slovacchia e Svezia).

Si resta con l’amaro in bocca quando, leggendo la parte relativa all’Italia, si vede che alle domande sulle misure adottate per governare il numero dei detenuti le risposte sono: 0 “modifiche alla legge penale”; 0 “nuove norme per certe categorie di detenuti”; 0 amnistie; 0 commutazioni individuali; 0 commutazioni collettive; infine, 0 eventuali altre misure deflattive. Oggi è la Corte Europea per i diritti umani dove pendono ricorsi in merito al rispetto dei diritti umani nelle carceri (e non solo) in tempo di rischio epidemia a porci una domanda. Lo ha fatto a partire dal caso promosso dagli avvocati Roberto Ghini e Pina Di Credico per conto di un detenuto nel carcere di Vicenza. Ci ha chiesto di esporre quali siano le misure preventive specifiche adottate per proteggere il richiedente e gli altri detenuti di questo istituto volte a ridurre il pericolo di contagio.

E questa domanda può estendersi ulteriormente perché è immaginabile che un’onda di altri ricorsi provenienti dall’Italia sommergano la Corte di Strasburgo. Marco Pannella diceva che la peste italiana, dovuta alla violazione degli obblighi Costituzionali italiani ed europei, rischiava di diffondersi in Europa. Proponeva come cura, come continuano a fare il Partito Radicale e Nessuno tocchi Caino, un’amnistia per riportare innanzitutto la Repubblica nei binari delle sue carte fondamentali. Sono convinta che l’amnistia il rimedio più adeguato, insieme all’indulto, per ripristinare lo Stato di Diritto nelle carceri come nelle aule di giustizia, unico antidoto al pericolo di contagio, non solo sanitario.

 

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