Gabriele Segre, direttore della Vittorio Dan Segre Foundation – istituzione che da anni lavora sui tempi della convivenza, dell’identità e del conflitto – è un giovane dalle idee chiare. Ad esempio sulla sinistra: per ritrovarsi, dice, dovrebbe cercare la sua identità e una visione che vada oltre l’orizzonte del liberalismo. Una sfida culturale, oltre che politica, che lo ha spinto a sostenere Gianni Cuperlo nelle primarie per la segreteria del Pd.

Cosa l’ha spinta a sostenere Gianni Cuperlo?
Il mio impegno, a livello europeo, è motivato dalla necessità di sostenere gli sforzi di quanti nell’ambito politico tentano di rispondere alla grande questione di che cosa oggi è la sinistra e perché c’è bisogno di una riaffermazione, rivalutazione, ricomprensione di quella che è una cultura politica di sinistra. Non si tratta soltanto della mia appartenenza di convinzioni politiche e culturali al campo della sinistra: da attento osservatore e cultore della cultura democratica non posso non rilevare la difficoltà che oggi sembra esprimere il campo progressista nello sviluppare una cultura politica di riferimento chiara, coerente e comunicabile rispetto a quanto invece fa la cultura conservatrice e di destra. E nella dialettica tra le forze politiche, necessaria allo sviluppo democratico, una non può vivere senza l’altra. In questa ottica, il Pd rappresenta non solo un esperimento avanzato di travaglio e di sforzo di comprensione di quella che può essere la cristallizzazione dell’odierna cultura politica progressista ma è anche la forza politica in Italia che per tradizione, per architettura politica e per cultura può forse riuscire meglio delle altre in questa impresa. Credo che la sinistra, prim’ancora che con la proposta di società, prim’ancora di avanzare delle progettualità sociali ed economiche, debba fare i conti con la sua identità in termini di cultura politica. E lo può fare soltanto se comincia ad affrontare i grandi nodi e i grandi equivoci che l’hanno accompagnata negli ultimi trent’anni della sua storia.

In che direzione va orientata questa ricerca?
La sinistra ha accolto, con la fine della Guerra fredda, l’architettura culturale del liberalismo, non tanto in termini economici quanto in termini strettamente culturali e ha fatto suo il concetto dell’identità così come quello della liquidità della società propri del liberalismo. Questi temi, che hanno accompagnato lo sviluppo moderno della società, in particolare post guerra fredda, sono le ragioni principali dello smarrimento che oggi le persone vivono nel confrontarsi con le grandi sfide, sempre più complesse e sempre più interconnesse e sempre più globali, che si trovano ad affrontare. Nel momento in cui non hai un ordine di riferimento, una visione del mondo chiara, un senso di progettualità e di immaginario collettivo ordinato e organizzato rispetto alla società che vuoi, diventa molto facile sentirsi smarriti nella terra delle grandi sfide che dobbiamo affrontare oggi. La destra ha proposto un ancoraggio alla tradizione rispetto a questa richiesta di punti di riferimento. La sinistra nel suo abbracciare il liberalismo, facendolo con grande passione e anche con grande verità storica, nel senso che era molto giusto, dal mio punto di vista, abbracciare i valori liberali, ha però abdicato al compito parallelo di riorganizzazione culturale e di senso della società. Per cui non ha più fondato un nuovo ordine ad un progetto di società alternativo a quello della tradizione, sapendo cogliere le lezioni del liberalismo senza però fermarsi ad esse. Non ha più saputo riconoscere, organizzare, ordinare le parti sociali e le soggettività politiche che costituiscono la società. E questo è un aggravio di colpa, perché è compito della sinistra riconoscere e portare a livello culturale nella società l’idea per cui il popolo non è la somma di individualità ma è somma di soggettività politiche collettive organizzate. Nel momento in cui la sinistra ha semplicemente tentato di dare risposta ai bisogni dei singoli, degli individui, senza invece dargli una struttura di riferimento, un ordine di riferimento e anche un senso identitario di riferimento, si è autocondannata alla marginalità, culturale prim’ancora che politica. Insisto sul senso identitario…

Perché?
Perché in passato essere di sinistra significava aderire a un progetto non solo sociale ed economico di avanzamento di domande, di bisogni, di volontà e di desideri, ma era anche e soprattutto il riconoscersi come un pezzo di una parte attiva della società che dava un senso anche alla propria vita attraverso l’impegno.

Perché Cuperlo è la sua scelta?
Perché è l’unico che all’interno del dibattito congressuale porta avanti un processo di denuncia e di disvelamento sulla necessità di confrontarsi con questi temi prima che confrontarsi con l’agenda progettuale. Il Congresso non è la campagna elettorale. In questa fase non si sta cercando di dare risposte ai bisogni del Paese ma si sta cercando di ridefinire una identità politica, di senso, condivisa, che parta dai grandi temi identitari, di principi e di visione del mondo. Nella costruzione di una utopia progettuale prim’ancora che di risposte ai bisogni delle persone. Soltanto nel momento in cui si ha un chiaro radicamento rispetto alla propria cultura politica di riferimento, alla propria identità, allora si può parlare di risposte in termini di progettualità e di risoluzioni dei problemi. Le candidature che sono state espresse finora, nel gioco disfunzionale dell’avanzamento dei nomi prim’ancora che delle idee, della visione di cui si fanno portatori, si stanno affannando nel convincere l’elettorato sulla bontà delle proprie proposte per la società, ancora prima che sulla capacità di riconoscere ciò che sono. Cuperlo sta sforzandosi in questa ricerca di identità e di senso. Per questo lo sostengo.

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Esperto di Medio Oriente e Islam segue da un quarto di secolo la politica estera italiana e in particolare tutte le vicende riguardanti il Medio Oriente.