Dalla legge Mancino alla proposta Zan. Fino al nuovo reato di “apologia della mafia”, una sorta di concorso esterno delle idee. Troppi processi e troppi reati. Troppi reati perché aumentano a dismisura le fattispecie, come se 35.000 non bastassero, e il diritto penale si gonfia come un otre fino a costruire un sistema in cui tutto è reato. E il numero delle leggi si moltiplica. Una società che avrebbe necessità di depenalizzare si sta avvitando sempre di più, famelica, in una sorta di iper-penalizzazione. Negli anni scorsi, in seguito a una serie di episodi di lanci di sassi sulle auto dai ponti autostradali, divertimento incosciente di turbe di ragazzacci, ci fu una campagna di stampa perché si inserisse nel codice penale il reato di omicidio di sassaiola, o come diavolo si dovesse chiamare. Per fortuna poi prevalse il buon senso.

Ma accadde comunque che un Parlamento di soggetti che non avevano letto gli Annali di Tacito nelle parti in cui definisce “corrotta” quella repubblica che moltiplica le leggi, abbia creato il reato di “omicidio stradale”, ritenendo che gli autori di incidenti non fossero sufficientemente puniti e che non bastasse un’aggravante alle fattispecie di omicidio colposo per dissuadere gli automobilisti dall’imprudenza. I promotori di quella legge, sollecitati da comitati di parenti di vittime stradali, speravano nella diminuzione degli incidenti. Naturalmente non è accaduto nulla di tutto ciò, se non la conferma del fatto che mai, proprio mai, l’aumento delle pene (e a maggior ragione l’introduzione di nuove fattispecie) ha avuto come conseguenza la diminuzione dei reati. Infatti, a cinque anni dall’approvazione di quella legge, dai dati diffusi dall’Anci, l’associazione dei Comuni italiani, risulta che gli incidenti stradali sono calati dello 0,2% e che, su 2.988 indagati per omicidio stradale, gli arresti in flagranza sono stati 31. È evidente che la norma non ha funzionato neppure dal punto di vista meramente repressivo. E men che meno da un orizzonte “educativo”, ammesso (e assolutamente non concesso) che occorra la legge penale per disciplinare le coscienze.

È così difficile far capire che in una società che funziona, in una società libera, le regole debbano essere poche, chiare e applicate? E che, come appunto diceva Tacito, l’eccesso di normazione finisce per diventare un elemento corruttivo della stessa democrazia? Tira aria da Stato etico, di questi tempi, e ancor di più da quando è nato un partito che si ispira al filosofo Jean-Jacques Rousseau. Siamo arrivati al punto –la notizia è di questi giorni- di chiedere l’introduzione di una nuova aggravante all’articolo 414 del codice penale sull’istigazione a delinquere, con la nuova fattispecie di ”apologia della mafia”. Pare che il disegno di legge, prima firmataria Stefania Ascari del Movimento cinque stelle, abbia preso di mira niente di meno che i cantanti neomelodici. I quali, intrattenendo i propri fan nelle piazze di tante città del sud Italia, avrebbero con i loro testi mostrato simpatie per Cosa Nostra e mandato messaggi ai loro parenti in carcere. Se qualche cantante ha commesso reati, ci penserà la magistratura, esaminando eventualmente caso per caso. Ma, si spera, reati derivanti da fatti.

Ma che cosa può passare nella testa di deputati o senatori, quale furia giacobina può spingere a ipotizzare che possa esistere una fattispecie di reato che configuri l’apologia della mafia? Cioè la simpatia? Una sorta di concorso esterno delle idee? Eccoci qua, non si può più pensare né parlare, e ora neppure cantare. Rieduchiamo i cantanti melodici. Dobbiamo essere tutti rieducati. Con le manette. Si dice che non sia più accettabile una società percorsa da un così diffuso clima di odio, e che ci sono opinioni e parole che all’odio istigano. Il Parlamento ha addirittura creato una Commissione apposita, presieduta dalla senatrice Liliana Segre. Non servirà a molto, ma non dovrebbe fare neanche danni, al massimo sarà un gruppo di studio. Peccato che il centrodestra non l’abbia votata, visto che sarà innocua, ma che abbia poi proposto invece una legge ancora più repressiva di quella della sinistra, visto che molto male possono fare a uno Stato liberale le norme penali. Stiamo parlando della legge Mancino e di tutte le sue successive evoluzioni, dalla legge sul negazionismo fino a quella sull’omotransfobia (proposta di legge Zan), che dovrebbero avere il compito di tutelare i soggetti deboli rispetto a opinioni e comportamenti che configurino il rischio di portare ad atti di odio.

Nelle manifestazioni che si sono svolte un po’ in tutta Italia, e in particolare ieri, nella giornata contro l’omotrasfobia, si sentono rivendicazioni che poco hanno a che vedere con l’impianto della legge Zan. Voglio essere libero di scambiare affettuosità con il mio compagno senza essere aggredito, dicono in molti, oppure non voglio essere discriminato sul posto di lavoro, o ancora vorrei non essere più cacciato di casa a causa delle mie scelte affettive e sessuali. La gran parte dei giovani si limita a dire, in modo semplicistico, frasi di questo tipo, oppure, come ha fatto il rapper Fedez, che “ci vuole una legge”. Per riempire un preteso vuoto normativo. Il più grande malinteso consiste nel presentare l’Italia come un luogo in cui non esistano tutele contro le violenze e le discriminazioni. Esistono eccome, come dimostrato da una serie di sentenze della corte di Cassazione, alcune delle quali citate anche dal professore Curreri (Il Riformista, 15 maggio 2021) nell’intento di dimostrare la necessità di una nuova legge, o meglio di una nuova estensione della Legge Mancino. Ma il difetto, per dirla in termini terra terra, è proprio nel manico, nella norma da “antifascismo militante”. È l’esigenza di superare fenomeni sociali non graditi, come le manifestazioni di simpatia e rimpianto per il fascismo, con il richiamo a chi non c’è più (“presente!”) e le braccia tese, o addirittura la propaganda di leggi razzistiche o l’incitazione alla violenza, con la sola norma penale.

La legge Mancino è il vero capostipite delle leggi contro i reati d’odio. Ed è anche il capostipite della repressione dei reati d’opinione. Ma siamo sicuri di voler punire con la norma penale e il carcere l’odio, cioè quello che è prima di tutto un sentimento? Negativo, d’accordo, ma pur sempre un moto dell’animo. E perché non dovremmo avere anche il diritto all’odio? Siamo di fronte a un’ennesima forma di cancel culture? È una forzatura, d’accordo. Ma si dice (lo esprime chiaramente ancora il professor Curreri, ma anche lo stesso deputato Zan) che la proposta di legge contro l’omotransfobia non vuole sanzionare “la propaganda di idee ma l’istigazione a commettere atti discriminatori”. Siamo al nocciolo della Legge Mancino: non ti punisco per quel che fai, ma per quel che pensi e che dici in danno di un soggetto debole che io Stato voglio difendere e tutelare. In sintesi io ti colpisco perché l’espressione delle tue idee potrebbe portare qualcuno a discriminare o a compiere violenze. Non è detto che il fatto-discriminazione o il fatto-violenza si verifichino. Ma io ti punisco lo stesso.

Inutile ricordare, lo hanno già fatto in tanti (e in particolare Michele Ainis sul Corriere del 12 maggio 2021), che non solo il codice penale punisce già l’istigazione a delinquere, ma che esiste già anche l’aggravante di aver agito “per motivi abietti o futili”. Il di più della nuova legge consisterebbe dunque nel valore più che altro simbolico (come le bandiere sventolate nelle piazze) e, ahimè, educativo, con la celebrazione della giornata contro l’omotransfobia nelle scuole. Inoltre, dal momento in cui si entra nella casistica, con l’elenco dei soggetti da tutelare, perché non aggiungerne altri, come per esempio gli anziani? Permettetemi infine di associarmi, da vecchia femminista di lunghe e antiche battaglie, a un po’ di sana indignazione per veder ridotte le donne a minoranza debole. Eh no, caro Zan, le donne sono maggioranza e sono forti. E le discriminazioni nei loro confronti non sono determinate dall’odio per il diverso, ma, come ha ben scritto (Il Dubbio, 3 maggio 2021) la senatrice Valeria Valente del Pd, «dall’idea patriarcale della donna soggetta al potere maschile». Altra storia, altro film.

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Politica e giornalista italiana è stata deputato della Repubblica Italiana nella XI, XII e XIII legislatura.