Scarantino fu trattato da vero collaboratore, con pene più lievi degli altri. Tutti i processi parvero volare con primo, secondo grado e Cassazione senza che mai un dubbio solcasse la fronte di magistrati togati e popolari. I pubblici ministeri di Caltanissetta, proprio coloro che oggi sono sospettati di aver suggerito e poi calunniato, erano i trionfatori. Sentiamo le dichiarazioni di uno di loro, Nino Di Matteo, nella requisitoria del 1998: «La ritrattazione dello Scarantino ha finito per avvalorare ancora di più le sue precedenti dichiarazioni». E ancora: «L’avvicinamento dei collaboratori per costringerli a fare marcia indietro è diventata una costante nella strategia di Cosa Nostra».

Non è mancata, nelle sue parole, la stilettata politica: «Lo sparare a zero sui pubblici ministeri, l’accusarli di precostituirsi arbitrariamente le prove a carico dei loro indagati, è diventato una sorta di sport nazionale praticato non tanto dai pentiti, ma da molti di coloro che hanno lo scopo di fare esplodere il sistema giudiziario». Dieci anni dopo, al processo quater, sarà il pentito doc Gaspare Spatuzza a smentirlo. Sono passati sedici anni dall’omicidio Borsellino e finalmente gli innocenti possono essere scarcerati e Scarantino, che non sapeva neanche dove fosse via D’Amelio né chi fosse Borsellino, sarà creduto: lui con quella strage non c’entra affatto. E neppure tutti quelli che lui aveva accusato, non certo spontaneamente. E tutto quell’apparato dei vertici dello Stato che partecipò al grande circo della costruzione a tavolino del falso pentito, che fine ha fatto? Qualcuno come Tinebra e La Barbera non c’è più, altri come Caselli e Serra sono in pensione. Ma altri non demordono. C’è ancora il processo Stato-mafia, no?

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Politica e giornalista italiana è stata deputato della Repubblica Italiana nella XI, XII e XIII legislatura.