Trump provoca, la Nato risponde. O meglio: non proprio la Nato, ma Rutte, il suo segretario generale. «Che non è la stessa cosa», puntualizza Alessandro Politi, direttore della Nato Defense College Foundation di Roma. Una sottigliezza non da poco, visto che a decidere – quando si tratta di spese – non è la struttura, ma i suoi singoli membri che decidono collettivamente nel Consiglio del Nord Atlantico e per le loro priorità nazionali. «Non siamo mica il Patto di Varsavia», aggiunge Politi. Ma andiamo con ordine.

Qui Davos

Ieri Rutte è intervenuto al World Economic Forum di Davos, dando palese ragione a Trump: «Non stiamo spendendo abbastanza. Dobbiamo trovare un equilibrio con quanto spendono gli Stati Uniti, ma in particolare qui, dobbiamo guardare alla base industriale». Passano poche ore e arriva l’intervento online dalla Casa Bianca. I cannoni di Trump sono puntati ad alzo zero anche su di noi. Tuttavia, tra dazi che lui intende imporre e spese militari che noi dovremmo aumentare, cosa c’è di nuovo da dire? A una prima lettura, quindi, la mano tesa di Rutte potrebbe far pensare che il nodo sia sciolto. Dopo mesi di dibattito tra i governi europei sulla necessità di aumentare gli investimenti in sicurezza, Bruxelles (quella politico-militare) appare in linea con Washington.

Il vero problema lo solleva il ministro degli Esteri italiano, Antonio Tajani. Non tanto perché sarebbe impossibile arrivare al 5% (al massimo si può ottenere il 2%, richiesto dallo stesso Rutte), quanto perché si tratta di spese da scorporare dal vincolo di bilancio. «Condizione cui è soggetto anche Trump», dice sempre Politi, che osserva come le sue intenzioni – provocatorie o meno – ci impongono una riflessione boots on the ground. «Sulla base delle necessità di ognuno e lasciando perdere i desideri istintivi, bisogna mediare per una posizione condivisa».

Obiettivo

In parole povere, qual è l’obiettivo? «Arrestare la guerra. Che è diverso dall’arrivare alla pace e ancor più alla pace giusta». Politi ci tiene al distinguo. Il bollettino dei morti da ambo le parti è drammatico e i soldi non sono infiniti. «Quindi è inutile continuare con velleità ed elucubrazioni che, in un contesto sempre più conflittuale, non hanno ragion d’essere».

Il pragmatismo aveva già caratterizzato l’ultimo vertice Nato di Washington di luglio dello scorso anno. Quindi in tempi non sospetti. O meglio, quando ancora la vittoria di Trump era in forse. Per Politi, il pragmatismo deve viaggiare su tre canali. Due spettano all’Europa, uno agli Usa. Partiamo da questi ultimi. «Le risorse militari che attraversano l’Atlantico corrispondono allo 0,84% di tutte le spese del Pentagono. Neanche un punto percentuale!». Il grosso dei costi Washington lo indirizza al resto del mondo e al nucleare. Questo già rimette le cose in chiaro. Per gli Stati Uniti, l’Europa non è una vasca da bagno senza tappo in cui riversa acqua a ciclo continuo. «Tuttavia sta all’Europa dare una risposta. Politica ed economica». È necessario ribadire l’amicizia tra noi e loro. «Dobbiamo ricordarci quanto ci siamo spesi subito dopo l’11 settembre 2001. Allora fu l’Europa a far appello all’Articolo 5 dell’Alleanza atlantica. Perché un alleato era sotto attacco. La metà del contingente dispiegato in Afghanistan era europea. Questo va detto a Washington. E sono certo che un’azione tanto assertiva troverebbe l’immediato sostegno dei paesi dell’Europa dell’Est». A questo proposito viene in aiuto la call to arms del premier polacco, Donald Tusk – che è pure presidente di turno Ue: «Se l’Europa vuole sopravvivere, deve armarsi». E Varsavia, le cui spese militari sono ben oltre il 4%, non vede l’ora di far felice Washington.

Un problema abbordabile

Poi c’è la risposta economica. «Occorre fare una pianificazione di budget – dice ancora Politi – La percentuale del 2% è generica». E qui, più che di Difesa, bisogna ragionare in termini di politica industriale. Quanto spendono gli Usa? Quanto spendono i singoli membri Nato? Tra i quali – per inciso – c’è anche il Canada, uno dei recenti bersagli trumpiani. Quali e quante risorse vogliamo indirizzare alla Difesa? E quante alla ricostruzione dell’Ucraina? Il paradosso è che molte di queste domande hanno già una risposta. «L’elenco delle capacità dei singoli governi è un impegno preso nell’Alleanza». Conti alla mano, si arriverebbe così a un efficientamento di tutto il sistema.

«Partendo da una produzione e da una distribuzione più logica delle forniture, in pratica ricorrendo alle economie di scala tanto usate nell’ambito civile, avremmo un significativo risparmio di risorse impiegabili in altri investimenti». Ma, a questo punto, la domanda è ovvia: perché Italia, Francia e Germania non lo fanno? Politi allarga le braccia: «Il tappo lo fanno gli interessi nazionali. Ed è un peccato, perché basterebbe rendersi conto che la Difesa Nato e la Difesa europea sono la stessa cosa, per capire quanto il problema che Trump ci mette davanti sia più abbordabile di quanto sembri».