«Quella in corso non è una campagna elettorale, ma solo una lotta di potere. Nessuno parla dei problemi veri dei napoletani. E quindi ve la do io la classe dirigente: sono i miei bambini, molto più capaci di certi amministratori locali». Don Luigi Merola risponde alla telefonata del Riformista mentre lavora al suo ultimo progetto: la ristrutturazione di un campo di calcio per i ragazzi del quartiere Arenaccia dove è attiva ‘A voce d’‘e creature, la fondazione che ha creato proprio con l’intento di dare un futuro ai giovani dei quartieri disagiati di Napoli. E, in attesa del 12 ottobre, data dell’inaugurazione, parla con la franchezza alla quale ha abituato chi  segue il suo impegno nel sociale e contro la camorra.

Perché questa campagna elettorale le piace così poco?
«Perché i programmi dei candidati non corrispondono a quelli dei cittadini. A Bagnoli potrebbero trovare lavoro decine di migliaia di napoletani: qualcuno ha una strategia seria per rilanciare quell’area? A Napoli serve almeno un anno per ottenere il via libera all’apertura di un’attività: qualcuno ha una strategia seria per abbattere la burocrazia? Nessuno affronta certi temi. E io non mi ritrovo nei programmi presentati dai vari candidati. Anche per questo motivo, oltre che per il Covid, quest’anno non ho organizzato alcun confronto tra i candidati e la fondazione. Tanto, chiunque dovesse essere eletto sindaco, non potrà che trascinare Napoli sempre più nel baratro».

Però un uomo di chiesa non dovrebbe rinunciare alla speranza…
«Una speranza c’è e sono i giovani che seguiamo in fondazione. Sono molto più bravi di certi amministratori locali e consapevoli di un fatto: la politica è la più alta forma della carità cristiana. E poi la speranza va pur sempre organizzata».

Finora il Comune è stato in grado di farlo?
«Macché! Rispetto all’epoca della morte di Annalisa Durante, le condizioni di Napoli si sono addirittura aggravate. E la colpa è anche della cattiva politica. È mancato un progetto nazionale per il recupero delle aree e delle fasce di popolazione disagiate. Il Comune non ha investito nella prevenzione. La lotta alla criminalità è stata delegata soltanto a magistratura e forze dell’ordine, costrette a rincorrere le varie emergenze in cui Napoli piomba periodicamente».

Che cosa non ha fatto il Comune?
«Il sindaco Luigi de Magistris aveva promesso una sostanziosa riduzione della Tari sui beni confiscati alla camorra e destinati a scopi sociali. Risultato: zero, siamo stati presi in giro. E oggi a villa Bambù, un tempo residenza del boss Raffaele Brancaccio e oggi sede della nostra fondazione, si pagano oltre 10mila euro l’anno di Tari che potrebbero essere destinati ai ragazzi. Senza dimenticare che, in quartieri come l’Arenaccia, la raccolta differenziata ancora non esiste».

Vi avranno concesso aiuti sotto altra forma…
«No. Al Comune avevo chiesto anche l’assegnazione degli spazi dove il boss Brancaccio aveva le sua “macchinette mangiasoldi”. Volevo ospitarvi laboratori per l’avviamento al lavoro. Palazzo San Giacomo non ha nemmeno pubblicato un bando per l’affidamento di quegli spazi che versano ancora in stato di abbandono. Abbiamo ricevuto aiuto solo dalla Regione, che ha finanziato un nostro progetto, oltre che da imprenditori e benefattori. Dal Comune solo chiacchiere: così mi trovo a combattere non solo contro i clan, ma anche contro il Comune».

Un sondaggio di Repubblica evidenza come la sicurezza e la legalità siano una priorità solo per un napoletano su quattro: che ne pensa?
«È grave. Sicurezza e legalità sono precondizione dello sviluppo. Invece qui tutti fuggono dalle proprie responsabilità. Nessuno comanda, nessuno controlla, nessuno lavora. La città è nel caos totale. Basta fare un giro per strada: ovunque regnano disordine e sporcizia. Le strade si sono trasformate in un far west, come dimostra il bollettino di guerra che siamo puntualmente costretti a leggere soprattutto nei fine settimana. E lo smart working ha paradossalmente aggravato la situazione perché, anziché semplificare i rapporti tra il cittadino e la pubblica amministrazione, ha allontanato la gente dall’istituzione a lei più vicina che è proprio il Comune».

A Napoli si parla del numero esorbitante di armi in circolazione e delle baby-gang fuori controllo: come se ne esce?
«Rafforzando tutti i presidi di legalità sul territorio. Lo Stato dovrebbe presidiare il territorio 24 ore al giorno. Le scuole dovrebbero essere aperte fino a mezzanotte, palestre pubbliche incluse. E parrocchie e oratori dovrebbero finalmente tornare a lavorare».

Crede che non lo facciano?
«La Chiesa ha sfornato la munnezza dei cristiani. E l’ha fatto perché si è trasformata in un’agenzia di somministrazione dei sacramenti anziché operare tra la gente. Ormai le parrocchie chiudono alle 18 come se fossero attività commerciali. Su 250 parroci, siamo io e pochi altri scombinati a impegnarci per organizzare la speranza».

Ieri è arrivata la nomina di padre Francesco Beneduce, del reverendo Michele Autuoro e di monsignor Gaetano Castello a vescovi ausiliari di Napoli: cambierà qualcosa?
«Il Signore li guiderà. Se Papa Francesco li ha nominati, vuol dire che li ritiene all’altezza del compito. Mi auguro che le aspettative siano confermate dai fatti».

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Classe 1987, giornalista professionista, ha cominciato a collaborare con diverse testate giornalistiche quando ancora era iscritto alla facoltà di Giurisprudenza dell'università Federico II di Napoli dove si è successivamente laureato. Per undici anni corrispondente del Mattino dalla penisola sorrentina, ha lavorato anche come addetto stampa e social media manager prima di cominciare, nel 2019, la sua esperienza al Riformista.