I giorni duali della politica
Draghi e Letta in Europa, le divisioni in Italia e gli inutili giochi delle coppie che rifiutano il buon senso
Favorevoli o contrari a Draghi (e a Letta, seppur meno impegnativo) quasi a prescindere da ciò che dicono. Meloni si è convertita all’europeismo e Salvini (ieri) lancia i manifesti elettorali: “Più Italia, meno Europa”. Tanto per chiarire. Fratelli d’Italia usa l’aborto e il corpo e la psiche delle donne per raccattare qualche voto in più e, grazie ad un emendamento al Pnrr, piazza i volontari pro-life nei consultori per convincere le donne a non abortire. Ma ieri ben diciassette deputati della Lega e uno di Forza Italia hanno votato in dissenso al governo su un ordine del giorno. Quando è troppo è troppo.
Ilaria Salis, la maestra italiana incarcerata e in ceppi in Ungheria non è chiaro neppure perché, divide il centrosinistra. L’idea di “metterla in salvo” dai penitenziari ungheresi candidandola all’europarlamento è rischiosa se l’operazione non è blindata. Alla fine però sarà in corsa con l’Alleanza Verdi e Sinistra. O, meglio, Nicola Fratoianni non l’ha detto ad Angelo Bonelli (che lo ha prima smentito “categoricamente” e poi è tornato sui suoi passi allineandosi a Fratoianni) ma la trattativa è in corso. Si gioca con l’incolumità di una cittadina italiana – che succede se disgraziatamente non dovesse essere eletta? – quando sarebbe stato meglio un’assunzione di responsabilità collettiva del centrosinistra per blindare una scelta difficile perché rischiosa. Meglio una lista che lotta per superare la soglia del 4% come Avs o il Pd che viaggia tra il 18 e il 20%? Era un ragionamento da fare. Una terza via da seguire.
Giornata di vertici ieri. A Bruxelles il Consiglio europeo informale, a Capri il G7 dei ministri degli Esteri allargato alla Nato. I due conflitti –Ucraina e Israele-Iran – hanno nei fatti monopolizzato entrambi. Il premier Zelensky e il ministro Kuleba chiedono disperatamente armi e munizioni: “Per Israele attaccato dall’Iran vi siete mossi. Noi siamo sotto attacco russo ogni giorno e stiamo finendo le armi per difenderci”. I leader Ue e quelli del G7 promettono epromettono. L’Italia però, lo denuncia in aula Lia Quartapelle (Pd), ha fatto l’ultima consegna a dicembre. Perché non mandiamo più nulla? In queste ore la Difesa italiana sta dismettendo il sistema antimissile Samp T dalla Slovacchia per portarlo in Puglia per il G7. Non sarebbe forse il caso di mandarlo in Ucraina? Francia e Germania stanno facendo i loro invii. L’Italia è ferma. Però promette. A domanda diretta, nelle dichiarazioni conclusive a fine del vertice, Giorgia Meloni ha detto: “Se ne sta occupando la Difesa”. Siamo a metà aprile.
Mario Draghi ed Enrico Letta, due ex premier italiani, sono stati incaricati dalla presidente uscente della Commissione europea Ursula von der Leyen di “servire” l’Europa. Il primo con una proposta su come rendere competitiva l’Europa nel nuovo ordine, o forse disordine, mondiale. Le anticipazioni sono state tanto prevedibili – per chi ascolta e legge l’ex presidente della Bce al di là e oltre l’incarico a palazzo Chigi – quando choccanti: “Proporrò cambi radicali per avere un’Unione europea adatta al mondo di oggi e soprattutto domani. Dobbiamo poter contare su sistemi energetici decarbonizzati e autonomi, su una Difesa Ue integrata e su una posizione di leadership”. Un appello che dovrebbe far riflettere: “L’Europa agisca unita, non c’è più tempo da perdere”. Draghi divide, non per quello che dice ma per quello che potrebbe andare a fare a Bruxelles, alla guida della Commissione o, meglio ancora, del Consiglio. “Draghi? Anche no – ha detto ieri Salvini spazzando via ogni ipotesi. “La Lega ha già fatto i suoi sacrifici con Draghi e l’abbiamo anche scontata. Poi non so cosa voglia fare, però abbiamo già dato”.
Letta, siccome fa meno paura perché meno ingombrante – viene commentato in Italia solo da Pd e dintorni. Eppure, anche la sua ricetta per potenziare il mercato unico europeo è necessaria all’Europa che nascerà dal voto del 9 giugno. Tanto che a Bruxelles i 27 ne hanno discusso ieri ben più del previsto, fino a pomeriggio inoltrato, in cerca di una sintesi. Di un compromesso. Il famoso numero 3. Von der Leyen ha promesso: “Le relazioni di Draghi e Letta ispireranno le linee guida del prossimo mandato”. Meloni ha esaltato il fatto che entrambi dicono che l’Europa “va cambiata”. Come se fosse una novità o il programma di una parte e non dell’altra. La premier ha elogiato il lavoro di Letta perché “ci sono spunti molto interessanti, che coincidono con l’azione di governo” ma un veloce fact-checking dimostrerebbe in fretta il contrario. “Siamo contenti che si parli di un italiano per ruoli di vertice. Ma parlare ora di Draghi è pura filosofia” ha tagliato corto. Se ne parla, e non da oggi, nei vertici e nei bilaterali europei, vietato farlo in Italia. Perché divide, perché parte il tifo da stadio. Soliti inutili giochi delle coppie. Che rifiutano il buon senso del numero 3.
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