Due mesi dopo l’attacco di Hamas a Israele, la quotidianità dello Stato ebraico e della Striscia di Gaza è scandita da giorni che sembrano tutti drammaticamente uguali tra loro. Le sirene che avvertono del lancio dei missili contro le città israeliane sono risuonate anche ieri. A Tel Aviv, gli allarmi si sono attivati per ben due volte, mentre il sistema Iron Dome si è messo in moto per neutralizzare i razzi lanciati da Gaza e rivendicati da Hamas “in risposta ai massacri commessi contro i civili”. Gli stessi suoni che avvertono del pericolo in arrivo dal cielo hanno segnato le giornate di Ashkelon, Holit, Sufa e Kerem Shalom.

E anche a nord si è avuta l’ennesima salva di missili contro l’esercito di Israele, mentre il sistema Arrow ha intercettato un velivolo sospetto avvistato nei cieli al confine con il Libano. Mentre diverse città dello Stato ebraico rimangono sotto la minaccia dei razzi, nella Striscia di Gaza le operazioni militari delle Israel defense forces proseguono senza sosta. Secondo il portavoce delle forze armate, sono stati 450 gli obiettivi colpiti in un solo giorno dalle unità israeliane: tra di esse è intervenuta anche la Marina, che ha di nuovo messo nel mirino le cosiddette “forze navali” di Hamas sia al centro nel sud dell’exclave palestinese. E sempre nella giornata di ieri, Al Jazeera ha anche riportato la notizia del bombardamento della Grande Moschea Omari, la più importante e storica moschea di Gaza.

L’operazione in corso è complessa, e le Idf si muovono con sempre maggiore pressione ma anche con estrema cautela. La rete di Hamas e del Jihad islamico palestinese è ben costruita, i tunnel sono ovunque e il timore sulla sorte degli ostaggi insieme ai caveat sulla popolazione rappresentano paletti chiari per i comandi delle Tsahal. Sono 150 i siti che le forze armate hanno detto che non saranno colpiti in quanto ritenuti rifugi per i civili. A riferirlo al Times of Israel è stato il colonnello Elad Goren, ed è una mossa che certifica la volontà di Israele di seguire anche le direttive richieste dagli Stati Uniti per mettere in atto ogni tipo di azione in grado di ridurre sensibilmente la possibilità di vittime civili nel corso dei raid. L’epicentro dell’invasione ora è a nella parte meridionale, dove, come detto nei giorni scorsi, l’obiettivo resta la conquista di Khan Younis. Le Tsahal hanno comunicato che alcuni reparti delle Settima Brigata hanno coinvolto l’aviazione israeliana per colpire le postazioni di Hamas in città, e la battaglia infuria per spezzare la prima linea delle milizie palestinesi.

E mentre le Idf affermano di avere ucciso diversi operativi delle milizie nemiche, continua anche ad aumentare il numero dei caduti tra le file delle forze armate di Israele. Ieri è stata data la notizia dell’uccisione di altri due riservisti impegnati sul fronte della Striscia di Gaza, il sergente maggiore Naftali Yonah Gordon, di 32 anni, e il sergente di prima classe Omri Rot, 25 anni: il numero dei morti in battaglia delle Idf sale così a 93 dall’inizio dell’invasione. Se questa è la situazione sul fronte bellico, sul lato diplomatico si registra una nuova fase di congelamento dei negoziati sia per una possibile tregua che riguardo il futuro della Striscia una volta terminata l’operazione militare israeliana. Il segretario generale delle Nazioni Unite, Antonio Guterres, ha di nuovo lanciato un appello affinché si arrivi a un immediato cessate il fuoco, sottolineando che “la gente di Gaza sta guardando nell’abisso”. Dello stesso avviso i ministri degli Esteri di alcuni Paesi arabi, in visita a Washington.

Ma l’amministrazione Biden al momento non è d’accordo con questa linea, pur avendo perorato la causa delle tregue umanitarie. A spiegare la posizione del governo Usa è stato Robert Wood, viceambasciatore degli Stati Uniti presso l’Onu, che – come riportato da Adnkronos – al Consiglio di Sicurezza ha affermato che un cessate il fuoco “non farebbe altro che gettare i semi per la prossima guerra, perché Hamas non ha alcun desiderio di arrivare a una pace duratura o di arrivare a una soluzione a due Stati”. La presenza di Hamas come struttura in grado di colpire Israele rende dunque impossibile sostenere uno stop ai combattimenti. E questo anche dopo le dichiarazioni il primo ministro dell’Autorità palestinese, Mohammed Shtayyeh, secondo il quale Ramallah starebbe lavorando con Washington per un futuro processo di pace che coinvolgerebbe anche Hamas. Il primo ministro palestinese, parlando a Bloomberg, ha sostenuto che per Israele sarebbe impossibile portare a termine l’obiettivo di sradicare completamente l’organizzazione islamista, dal momento che questa si trova non solo a Gaza, ma anche in Libano, in Qatar e in Cisgiordania. E a queste parole hanno fatto seguito le dure dichiarazioni di Benjamin Netanyahu, che su X ha scritto: “Il fatto stesso che questa sia la proposta dell’Autorità Palestinese non fa altro che rafforzare la mia politica: l’Autorità Palestinese non è la soluzione”.