È morto Eugenio Scalfari: il giornalista aveva 98 anni. Si è spento a Roma. A dare la notizia il quotidiano La Repubblica, da lui fondato nel 1976 che lo ricorda “economista, inventore di giornali, imprenditore, politico, filosofo, romanziere, poeta”. E soprattutto: “Ciao direttore”, è la scritta che campeggia sulla home page del sito. “Una vita da giornalista patriarca”, che ha segnato un’epoca. Prima di Repubblica, nel 1955, aveva fondato L’Espresso.

“Sono nato a Civitavecchia il 6 aprile del 1924 alle ore 10.30, all’ultimo piano d’un palazzo costruito nei primi anni dell’Ottocento nella piazza centrale della città”, raccontava. La sua adolescenza fu segnata dall’incontro a Sanremo con Italo Calvino e dall’infanzia maturata nel regime fascista con la divisa di balilla. Per un articolo sulla corruzione dei gerarchi fascisti fu cacciato dai Gruppi Universitari Fascisti (Guf). Si laureò in Giurisprudenza e nel 1950 iniziò la carriera giornalistica come collaboratore de Il Mondo di Mario Pannunzio e de L’Europeo di Arrigo Benedetti. Proprio sulle pagine di quest’ultimo contribuì da protagonista a dare forma al giornalismo economico come conosciuto fino ad oggi – ovvero in una forma accessibile a un grande pubblico, non solo per tecnici.

Partecipò nel 1955 con il gruppo degli “Amici del Mondo” alla fondazione del Partito Radicale di cui ricoprì la carica di vicesegretario nazionale dal 1958 al 1963. Dal 1968 al 1972 fu deputato per il Partito Socialista Italiano. Dopo la direzione del settimanale L’Espresso – che aveva fondato con Arrigo Benedetti e Carlo Caracciolo, una rivista dalla veste grafica e dal tono e i contenuti rivoluzionari – la fondazione di La Repubblica nel gennaio del 1976. Restò direttore del quotidiano fino al 1996, quando divenne direttore onorario ed editorialista. Scalfari è stato insignito di prestigiose onorificenze tra cui quali quella di cavaliere di Gran Croce della Repubblica italiana (1996) e di chevalier de la Légion d’honneur (1999).

Quello de La Repubblica era il sogno di Scalfari: un quotidiano moderno, da finanziare con i profitti de L’Espresso. “I giornali da me guidati puntavano su una borghesia illuminata e riformista che da noi era inconsistente. Perciò ci opponemmo sempre alla razza padrona che rappresentava una deformazione del capitalismo e della democrazia”. Lasciò nel 1996 – “Meglio andarsene prima di essere cacciato” – e cominciò un’altra vita: i saggi filosofici, i romanzi, la testimonianza diaristica. “Io non scrivo, creo”. Della morte aveva cominciato a scrivere e parlare spesso, ad affrontarla senza disperazione, perché “l’addio alla vita è l’estremo atto di amore di Eros quando ti chiude gli occhi e ti abbandona solo dopo l’ultimo respiro”.

Scalfari aveva sposato nel 1954 Simonetta de Benedetti, figlia di Giulio, storico direttore del quotidiano La Stampa. La coppia ebbe due figlie, Enrica e Donata. Dopo la scomparsa della moglie, nel 2006, ha sposato Serena Rossetti, che aveva conosciuto a metà degli anni Sessanta, segretaria di redazione de L’Espresso e di Repubblica. “Io non volevo cambiare l’Italia – diceva – ma il giornalismo sì. E questa mi pare un’impresa riuscita”.

Solo una decina di giorni fa Il Corriere della Sera aveva annunciato la dipartita di Scalfari tramite il profilo Instagram del quotidiano. Il post era stato rimosso poco dopo. Probabilmente una gaffe, la pubblicazione imprevista di un cosiddetto “coccodrillo” (articolo preparato sulla morte di un personaggio celebre) da parte del giornale primo concorrente di Repubblica.

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Giornalista professionista. Ha frequentato studiato e si è laureato in lingue. Ha frequentato la Scuola di Giornalismo di Napoli del Suor Orsola Benincasa. Ha collaborato con l’agenzia di stampa AdnKronos. Ha scritto di sport, cultura, spettacoli.