La recensione
Edna O’Brien, addio alla “scandalosa” ragazza di campagna: la forza realista del suo libro bruciato sui sagrati delle chiese
Una settimana fa ci ha lasciato una grandissima scrittrice del Novecento, Edna O’Brien, che molti conoscono ma che oggi non ha in Italia l’ammirazione che merita. Qui ci permettiamo di consigliare di leggere, o rileggere, il suo primo romanzo “Ragazze di campagna”, scritto di getto nel 1960 e che all’epoca destò grande scandalo, così coraggioso nell’anticipare i fremiti della modernità della swinging London con stile classico di alto livello stilistico. Edna O’Brien scrisse questo capolavoro in soli tre mesi gettandovi dentro il clima soffocante della sua Irlanda agli albori dei Sessanta e lo fece, per così dire, senza ritegno, senza infingimenti, raccontando la storia e le ansie di due ragazze amiche/nemiche, scavando a fondo nella loro coscienza (da buona irlandese, qualcosa di James Joyce non può non esservi).
Per la sua forza realista il libro fu posto all’Indice dei perbenisti irlandesi, persino bruciato sui sagrati delle chiese. Ma il successo fu enorme. Seguirono altri due romanzi, a comporre una vera e propria trilogia: “La ragazza sola” e “Ragazze nella felicità coniugale” (esistono tante edizioni, ma qui consigliamo Einaudi con la traduzione di Giovanna Granato). Edna O’Brien divenne un’icona ribelle degli anni ‘60, capace di sondare senza retorica le vertigini della passione amorosa e di quella politica. La sua carriera di scrittrice è stata spesso al centro dell’attenzione mediatica anche a causa di alcune prese di posizione sul conflitto anglo-irlandese che negli anni ‘90 le sono costate ripetute accuse di aver sostenuto la lotta armata dell’Ira.
A 88 anni, come fosse una reporter di belle speranze, volò in Africa per scrivere un romanzo sulle ragazzine nigeriane (che volle conoscere) rapite dalle belve jihadiste di Boko Haram: ne scaturì “Ragazza” (Einaudi) che afferra il lettore per il collo con l’incipit («Prima ero ragazza, adesso non più»). «Ho dovuto dimenticare tutto quello che ho imparato in sessant’anni di scrittura e ricominciare da zero», spiegò con la solita schiettezza. Non ebbe mai il Nobel ma se lo sarebbe meritato. La straordinaria qualità della sua prosa l’ha fatta diventare un’autrice di culto dal successo planetario rispettata anche dalle accademie e dai più raffinati circoli letterari. “La più grande scrittrice vivente in lingua inglese”, amava ripetere il suo amico Philip Roth. E scusate se è poco.
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