Persino il sindaco di Roma, Virginia Raggi, l’altro giorno ha scoperto che in Italia esiste il lavoro nero! Un esercito di persone che, fra le sue truppe, arruola tanti che certo non hanno scelto loro di lavorare fuori dalle regole, ma lo accettano soltanto perché è l’unico modo che hanno per mantenere la propria famiglia. Un fenomeno che attraversa l’intero Paese, ma che al Sud tocca tra il 20 e il 30 per cento della popolazione. Dunque una questione enorme che però sfugge del tutto ai radar del Governo.

Certo, la pandemia già mette a durissima prova la tenuta della stessa economia regolare: le grandi aziende barcollano sotto i colpi di una borsa altalenante; quelle piccole e medie – l’ossatura del nostro tessuto produttivo – rischiano il tracollo; la filiera agroalimentare soffre per l’abbandono dei braccianti stranieri; i commercianti che hanno abbassato le saracinesche si domandano se avranno la possibilità di rialzarle quando l’emergenza sarà rientrata. Al netto della loro evidente insufficienza, le prime misure adottate sono servite a certificare la consapevolezza del Governo di doversi far carico di offrire delle risposte.

Proprio per questo vi chiedo però di immaginare cosa ha potuto provare invece il popolo degli invisibili nello scorrere l’elenco degli interventi e scoprire di non ritrovarsi neppure citato. Di fronte a tutto questo non c’è retorica del balcone che tenga, anzi l’unità nazionale scricchiola quando sono in tanti a non poter mettere il piatto a tavola. Ecco, questo è il vero tema che il lavoro nero pone nei giorni del Coronavirus. Chi vive di mance che diventano stipendio, di fine settimana a fare il cameriere in pizzeria, di pulizie ad ore, di fabbrichette che non possono regolarizzarti, di lavori edili saltuari e di altre mille forme di precarietà deve avere un segnale, subito. Il mio non è buonismo, ma è consapevolezza di quello che può accadere nella mente di chi è chiuso in una casa di cui probabilmente sa di non poter pagare l’affitto tra pochi giorni.

La spinta all’illegalità e alla criminalità è forte in queste condizioni, non prendiamoci in giro. E se il senso di dignità che caratterizza l’esistenza di quasi tutti i lavoratori in nero può fare da deterrente alla deriva illecita, lo scoramento di sentirsi soli, per giunta in un momento come questo, rappresenta una lacerazione profonda nella nostra società. Non possiamo permettercela guardando avanti, guardando alla grande fatica che tutti saremo chiamati a compiere quando, speriamo al più presto, dovremo iniziare il percorso della ricostruzione. Per poterlo fare tra qualche mese, dunque servono oggi misure straordinarie e coraggiose, che diano un segnale ai milioni di lavoratori sommersi di questo Paese.

In America, Donald Trump sta valutando l’ipotesi di inviare un assegno di mille dollari ad ogni americano. In Italia – incrociando le banche dati – si possono rapidamente censire tutti i nuclei familiari in cui non c’è nessuno che percepisce redditi, pensioni o altre altre forme di sostegno. A questi nuclei si deve assegnare un sussidio straordinario per questi 2/3 mesi di blocco totale delle attività, vincolato alla spesa e al fitto di casa. Un sostegno – da cui escludere i nuclei familiari senza reddito dichiarato ma coinvolti in vicende di criminalità organizzata, traffico di droga o reati gravi contro la persona – da erogare su domanda, da accompagnare con l’indicazione e le modalità dell’attività svolta in modo irregolare.

Questo non con finalità delatorie o sanzionatorie, ma soltanto per iniziare anche a costruire quella “banca dati” del mondo del lavoro nero che in Italia non è mai esistita. Insomma, l’emergenza può rappresentare anche l’occasione per avviare una risposta strutturale al tema del lavoro nero.