Il fallito attentato ad Ankara scatena il giro di vite turco nei confronti del Partito dei lavoratori del Kurdistan, il Pkk, che ha rivendicato l’attacco. Secondo i dati delle autorità turche, sono quasi mille le persone arrestate per sospetti legami con il Pkk, che per Ankara è un’organizzazione terroristica. E tutto questo arriva con un’operazione che secondo il ministro dell’Interno Ali Yerlikaya ha visto schierati circa 13.400 agenti su tutto il territorio. Numeri assimilabili a una campagna militare. E in effetti quanto accaduto subito l’attentato è tecnicamente un’azione militare, visto che a poche ore dai fatti gli aerei da guerra dell’aviazione turca si sono alzati in volo per bombardare le postazioni curde anche al di là dei propri confini, con raid che hanno investito 20 obiettivi nel nord dell’Iraq. Il presidente iracheno, Abdul Latif Rashid, ha protestato contro le mosse di Recep Tayyip Erdogan, ritenendole una violazione della sovranità di Baghdad. Ma l’impressione è che le dichiarazioni del capo dello Stato iracheno abbiano sortito ben poco effetto sulle volontà dell’omologo turco, impegnato nella sua eterna lotta contro quello che, insieme alla rete del predicatore Fethullah Gülen, è il vero avversario dell’agenda di Erdogan.

Il Sultano ha sempre messo in chiaro la sua volontà di andare fino in fondo nella guerra contro il Pkk. E il tira e molla con Finlandia e Svezia per il loro ingresso nella Nato – sottoposto alla condizione turca di vedere spezzato ogni legame tra i due Paesi scandinavi e i movimenti curdi – è solo l’ultimo esempio della costanza del presidente turco. Un leader che ora, dopo la più recente vittoria elettorale, sembra avere il chiaro intento non solo di sradicare l’organizzazione curda, ma anche di rafforzare la propria autorità interna al Paese così come di blindare la propria influenza al di fuori della stessa Turchia. E una volta messo da parte il rischio di un clamoroso fallimento elettorale, Erdogan ha impostato i primi mesi del suo nuovo e più importante mandato (il 2023 è l’anno del centenario della Repubblica turca) proprio mettendo in atto un percorso chiaro per raggiungere questi due scopi. Quanto accaduto questa estate e nelle ultime settimane sembra dargli ragione. Il negoziato per Helsinki e Stoccolma nella Nato ha reso la Turchia protagonista del summit di Vilnius, manifestando le difficoltà dell’Alleanza nel frenare le ambizioni di Ankara e costringendo i due Paesi candidati ad accettare i caveat del Sultano. Con il dubbio che ancora persiste sul semaforo verde del parlamento turco a ratificare l’ingresso della Svezia. Sul fronte dei rapporti con l’Unione europea, Erdogan ha fatto capire di considerare nello stesso negoziato l’ok all’ampliamento della Nato con la riattivazione del processo di adesione della Turchia all’Ue. Temi teoricamente separati, ma tanto è bastato a Erdogan per sfruttare i freni di Bruxelles come strumento di propaganda.

Lo ha dimostrato anche nell’ultimo discorso al parlamento. “La Turchia non si aspetta più niente dall’Unione europea, che ci ha fatto pazientare alla sua porta per 40 anni” ha detto il leader turco, avvertendo Bruxelles sul porre “nuove richieste o condizioni per il processo di adesione”. Inoltre, nonostante le pressioni occidentali, Erdogan ha continuato a dialogare apertamente con Vladimir Putin, ribadendo non solo i buoni rapporti con l’omologo russo ma anche gli accordi strategici con Mosca, che potrebbero rendere la Turchia, almeno nei piani dei due leader, l’hub del gas russo per l’Europa. Infine, è arrivata l’operazione militare dell’Azerbaigian nel Nagorno Karabakh. Un blitz che in poche ore ha annichilito i separatisti armeni, svuotato la regione contesa (100mila gli sfollati secondo l’ultimo dato da Erevan) e che ha fatto capire a tutti la totale libertà di manovra di Baku e quindi del suo maggiore sponsor, appunto la Turchia, con cui ha accordi strategici che vanno al di là anche della semplice alleanza militare. Subito dopo l’operazione “antiterrorismo”, Erdogan è volato in Azerbaigian per incontrare l’omologo Ilham Aliyev. E non è un mistero che l’obiettivo dei due governi sia quello di saldare ulteriormente i rispettivi destini. Intanto, le forze turche hanno iniziato delle esercitazioni congiunte con quelle azere e georgiane. E mentre l’operazione anti Pkk si consolida e rafforza l’autorità centrale, Erdogan lancia un altro avvertimento ad alleati e vicini: “Vogliamo vedere passi concreti da parte dei nostri amici”.