Il caso
Eutelsat, i satelliti che parlavano italiano prima che svendessimo la nostra sovranità

Eutelsat nasce nel 1976 come consorzio pubblico italo-francese per rispondere alla crescente domanda di telecomunicazioni satellitari, sostenendo la trasmissione radiotelevisiva pubblica di Italia e Francia. In pochi anni, l’azienda diventa una protagonista del settore con il lancio dei satelliti Hot Bird, che trasportano la programmazione di Rai, Mediaset, Telepiù e Stream, poi di Sky e Tivùsat, passando dall’analogico al digitale. Nel frattempo, il mondo delle telecomunicazioni vive una trasformazione radicale. Nicholas Negroponte, nel suo saggio Essere digitali, afferma che le trasmissioni televisive terrestri saranno sostituite dai satelliti, mentre Internet passerà attraverso fibre ottiche e cavi. Questa previsione, oggi evidente, negli anni ‘90 viene ignorata in Italia, dove si privilegia la privatizzazione del settore pubblico invece di investire nell’innovazione.
La cessione
Il governo di centrosinistra dell’epoca decide di smantellare STET, la finanziaria pubblica che controllava le società telefoniche, cancellando il Piano Socrate, che prevedeva il cablaggio in fibra ottica dell’intero Paese. Francia e Germania, al contrario, mantengono il controllo sulle loro infrastrutture, evitando la svendita degli asset strategici. Mentre altri Paesi europei consolidano la propria presenza nel settore satellitare, l’Italia cede progressivamente le proprie quote in Eutelsat, nonostante il forte management italiano guidato da Giuliano Berretta, amministratore delegato per oltre un decennio.
La fusione
Nel 2001, in piena rivoluzione digitale, Eutelsat viene privatizzata e passa sotto il controllo francese, con l’Italia ormai completamente estromessa. Per oltre un decennio, la nuova gestione si limita a sfruttare la rendita del mercato televisivo satellitare, senza investire in nuove infrastrutture. Solo dal 2015 Eutelsat inizia a esplorare le connessioni digitali private e aziendali, ma intanto il mercato è già stato rivoluzionato da nuovi attori globali. Mentre Eutelsat resta immobile, Elon Musk con Starlink e il gruppo britannico OneWeb accelerano lo sviluppo di reti satellitari a bassa orbita per l’accesso a Internet. Questi sistemi, più avanzati e competitivi rispetto ai satelliti geostazionari tradizionali, permettono connessioni veloci e globali, riducendo la dipendenza dalle reti terrestri. Nel 2023, senza una strategia industriale europea, Eutelsat si fonde con OneWeb, creando un nuovo soggetto con sede nel Regno Unito. Questa operazione rappresenta l’ennesima perdita di sovranità tecnologica europea, mentre Usa e Cina rafforzano le loro posizioni nel settore.
Mancanza di visione
L’assenza di una politica industriale ha lasciato l’Europa dipendente da operatori privati e stranieri, esponendola a rischi geopolitici. La guerra in Ucraina ha dimostrato come Starlink sia diventato un’infrastruttura critica, capace di garantire comunicazioni indipendenti anche in scenari di crisi. L’Europa ha ancora la possibilità di recuperare terreno, ma servono investimenti mirati e una strategia chiara. Il caso Eutelsat dimostra come la mancanza di visione e la dismissione di asset strategici possano avere conseguenze irreversibili. Se il continente non vuole rimanere spettatore passivo nella corsa alle telecomunicazioni satellitari, deve agire subito per affermare la propria sovranità digitale.
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