La serie tv
Ferragnez la serie, zero sorprese: è il trionfo del kitsch
Chissà se Chiara Ferragni e Fedez – chiusi in casa come centinaia di famiglie italiane dopo il verdetto del tampone positivo al Covid-19 – hanno trascorso qualche ora della loro monotona quarantena riguardando la vita piena di incontri, di impegni e di feste documentata da The Ferragnez, la serie-reality in otto episodi uscita su Prime Video.
Un involontario mockumentarary – il neologismo nato dalla fusione di mock “prendere in giro” e documentary “documentario” – che, dietro lo stile e il procedimento documentaristico, cela la realizzazione di una vera e propria fiction, perfettamente costruita e montata, che mette in vetrina il dietro le quinte della coppia di imprenditori/influencer.
La serie, ovviamente, non racconta qualcosa di nuovo sulla vita dei Ferragnez ma è utile per incrementare l’illusione dei fan di avere una totale visibilità sul loro mondo intimo e privato: non c’è nulla di “osceno”, nulla di “fuori dalla scena”, tutto è condiviso con noi. The Ferragnez è un’inevitabile espansione crossmediale della social media life familiare: per aumentare la visibilità – la sola cosa di cui si nutre una fama che non ha altre peculiarità se non quella di mostrare ricorsivamente se stessa – Chiara e Fedez sono obbligati a espandersi su quante più piattaforme possibili.
Un’impresa già compiuta con successo con il film Chiara Ferragni Unposted, realizzato dalla regista Elisa Amoruso e presentato nel 2019 alla Mostra del Cinema di Venezia. Un’espansione dello storytelling su altri canali comunicativi moltiplica i piani della narrazione; ogni media contribuisce in modo diverso allo sviluppo della stessa storia. Prima i social, poi il cinema, poi la piattaforma streaming, per poi tornare al punto di partenza con le condivisioni social del fandom: «Guys, vi è piaciuta la serie? Taggatemi nel vostro momento preferito e vi riposto».
Il film dedicato alla vita di Chiara non aveva paura di sfidare il ridicolo estremizzando un’estetica che Tommaso Labranca avrebbe definito “del pecoreccio”: inquadrature patinate e luci innaturali, finte riunioni con lo staff che si compiace del fatturato, lunghe interviste ingessate dalla sceneggiatura retorica. L’emulazione di un’agiografia che costruiva la biografia di Chiara sulla falsariga di quella di una santa. La trama seguiva la sempiterna struttura delle fiabe. Il viaggio dell’eroina partiva da una situazione di idillio familiare con il padre dentista fotogenico, la mamma scrittrice e appassionata di moda, la sorellanza affettuosa con Valentina e Francesca. Poi la fatica di realizzare il proprio destino: l’incomprensione dei detrattori, le difficoltà dell’impresa, le prove da superare e le cadute da cui rialzarsi. E, alla fine, l’happy ending con il principe azzurro, il matrimonio, il figlio, la stabilità e il successo internazionale.
Il docu-reality parte da qui e descrive la stessa parabola favolistica focalizzandosi sulla vita familiare fondata dalla crasi dei nomi di coppia. Le finte riunioni con lo staff sono raddoppiate: a quelle con la “crew” di The Blonde Salad si aggiungono quelle con la Factory di Fedez (così la definisce lui stesso paragonando la sua parabola artistica a quella di Andy Warhol e dei Velvet Underground). Le interviste non parlano più solo di lei, ma di loro due come coppia di opposti che si attraggono: “si amano perché si completano” dicono a gran voce familiari e amici/soci. Il fil rouge che unisce le puntate di queste poco bergmaniane “scene da un matrimonio” è la voce suadente di uno psicoterapeuta dall’identità celata: la versione contemporanea del confessionale del Grande Fratello è la messa in scena della “terapia di coppia” che, con esercizi per migliorare la vita matrimoniale, fornisce materiale alla sceneggiatura.
Con mascherine e distanziamento, la pandemia ha ridotto al minimo gli eventi mondani e la trama rischia la monotonia. Per fortuna i Ferragnez hanno una carta vincente da giocare: la nuova gravidanza e la nascita di Vittoria, la secondogenita della casa Ferragnez. Un’esplosione del cosiddetto sharenting (da share, condivisione e parenting, genitorialità) vissuto con maggior consapevolezza emotiva e pianificazione pubblicitaria rispetto al primogenito Leone: Vittoria nasce in televisione, come il Truman del film di Peter Weir, ma non in diretta perché tutto va montato al meglio, con il trucco e parrucco che nasconda le fatiche della neomamma. «Il reality familiare è pieno di situazioni all’ordine del giorno. Cambiano la qualità dell’arredo, la grandezza delle cabine armadio, il numero dei vestiti o la presenza della piscina. Cambiano a livello fattuale, ciascuno infatti vive una realtà misurata alle disponibilità economiche. A livello di immaginario invece l’identificazione con il pubblico è totale» ha scritto Salvatore Patriarca nel libro The Kardashian, Mitografia del contemporaneo.
Infatti, il reality Keeping Up with the Kardashian è il vero modello precursore di The Ferragnez ed è andato in onda per la prima volta nel lontano 2007 e ad oggi conta ben 20 stagioni. Il programma americano – arrivato in Italia con il titolo abbastanza eloquente Al passo con i Kardashian – segue la vita quotidiana delle figlie di Kris Jenner, le sorelle Kardashian Kim, Kourtney, Khloé e le figlie avute dal secondo matrimonio Kendall e Kylie Jenner. Una famiglia “famosa per essere famosa” che da quasi quindici anni intrattiene il pubblico tra fidanzamenti e gravidanze, tra scherzi e litigi. Casa Ferragnez, però, assomiglia più a una Casa Vianello di lusso dove si fondono soap-opera, reality-television e commedia romantica. Lei positiva, lui tenebroso; lei seriosa, lui ironico; lei sicura di sé, lui goffo e impacciato; lei socievole, lui misantropo; lei estroversa, lui paranoico. La narrazione instagrammabile e “super cute” di lei è costantemente interrotta da battute grevi e scherzi grotteschi di lui. Un bel gioco di contrasti funzionale alla costruzione di una narrazione complessa che include anche le ombre oltre alle luci smarmellate.
Dimentichiamoci gli eccessi e i traumi messi in piazza dai Kardashian, tra gli interventi di chirurgia plastica, la transizione di Caitlyn Jenner, il divorzio di Kim e molto altro. Il massimo a cui assistiamo in The Ferragnez è il reiterato «devo fare la cacca» di Fedez alla perenne ricerca di un bagno. Il nero è un grigio temperato e passeggero che torna subito bianco dopo qualche lavaggio: il rapper stonato trionfa a Sanremo (anche se le sue doti canore fanno acqua da tutte le parti, come lui stesso ammette serenamente); quando i bambini piangono o disturbano l’atmosfera ci pensa la tata a portarli a letto (e fuori dal campo del visibile); Leone, lungi dall’essere traumatizzato dalla vita perennemente online, si trova talmente a suo agio davanti alla telecamera che, dicono i genitori, da grande «potrebbe fare l’attore».
Alla fine tutti gli angoli vengono smussati, tutte le insicurezze dissipate nella salda armonia di una pista di ghiaccio privata in cui pattinare sereni e tornare bambini. Tutto torna nel recinto confortante della “cuteness” che è la vera cifra del mondo contemporaneo, come spiega il filosofo Simone May nel suo saggio Carino! Il potere inquietante delle cose adorabili. Tutto è “super cute”, nella perfetta infantilizzazione bambinesca del linguaggio ferragnano, e noi siamo rassicurati e protetti contro un mondo che ci fa scoprire sempre più vulnerabili. All’apparenza la navigazione dei Ferragnez scorre via tranquilla, ma si avvertono i primi scricchiolii dello scafo. Il dejà vu può solo riconsolidare il pubblico esistente, non certo attrarne di nuovo; si possono aumentare i format, ma la platea rimane sempre la stessa. La spinta propulsiva sembra arenarsi sulle sabbie dell’ovvietà. E da qui in avanti ci sarà molto da lavorare sulla creatività, continuamente insidiata dalla banalità.
E come promesso, il Truman Show del Truman Show non ci svela un dietro le quinte che non conoscevamo, ma conferma le nostre aspettative e ci fa dormire sogni tranquilli. Il “modello Ferragnez” è il perfetto trionfo del Kitsch di cui parla Milan Kundera: «La parola Kitsch designa l’atteggiamento di chi vuole piacere ad ogni costo e al maggior numero di persone. Per piacere, bisogna confermare quello che tutti vogliono sentir dire, bisogna mettersi al servizio dei luoghi comuni. Ci strappa lacrime di intenerimento su noi stessi, sulle banalità che pensiamo e sentiamo».
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