L'autoritarismo di velluto del governo Meloni
Festa 2 giugno: vigilia con Draghi, parata di sorrisi e Pnrr sul tavolo tra emendamenti e voto di fiducia

Questo rito non è mai stanco. L’emozione del primo giugno quando il potere terreno sfila in buon ordine nei giardini del Quirinale: giovedì sera, dopo un’astinenza di tre anni, erano circa duemila gli invitati nella casa degli italiani, i giardini del palazzo del Quirinale. E se Giorgia Meloni, di panna vestita con sandali e strass, ha cercato di fare la “quasi” padrona di casa tra selfie e brindisi alla Repubblica, la scena è stata tutta per Sergio Mattarella e per la “sorpresa” Mario Draghi.
L’intensità del 2 giugno, tra i Fori Imperiali e piazza Venezia con il passaggio delle Frecce Tricolori e dei Corazzieri a cavallo, la corsa della fanfara dei bersaglieri, il lancio dei paracadutisti dell’aeronautica, la sfilata dei reparti dei Carabinieri, Polizia, Guardia di finanza, dell’esercito e della marina. Soprattutto i tanti reparti civili, dai sindaci con la fascia tricolore in marcia come un nuovo ‘Quarto stato’ di Pelizza da Volpedo fino ai volontari del terzo settore passando per la Croce Rossa e quel lungo tricolore che parte dal Colosseo e arriva giusto lì, davanti alla tribuna d’onore. E’ la festa della Repubblica e della Costituzione che, ha detto Sergio Mattarella, “con i suoi pilastri fondamentali che sono libertà, uguaglianza, solidarietà, rispetto dei diritti dei singoli e delle comunità guida il cammino di un’Italia autorevole protagonista in quell’Unione Europea”.
Questo rito non è mai stanco sebbene sia stato più o meno snobbato negli anni da quelle forse politiche, Lega e Fratelli d’Italia, che oggi al governo lo stanno celebrando con la giusta e intensa partecipazione. Cambiare idea è segno di intelligenza. “Se non ricordiamo che quello che abbiamo qualcuno lo ha costruito, anche sacrificandosi, allora non capiamo neanche il senso del perché noi dovremmo fare dei sacrifici per chi verrà dopo di noi. La patria è questo: una dimensione di sacrifici”. Parole alte, di grande responsabilità e senso istituzionale. Da statista, verrebbe da dire. In fondo c’è una riforma costituzionale in cantiere che prevede tra le varie opzioni anche l’elezione diretta del Capo dello Stato.
Eppure nei dettagli del rito – persino Ignazio La Russa è stato all’altezza del ruolo – si sono visti preoccupazione e tensione. I confronti verbali brevi ma serrati e rigorosamente nascondendo il labiale della bocca tra Meloni e Giorgetti, tra Fitto e lo stesso Giorgetti, tra il ministro dell’Interno Piantedosi e la stessa premier. Si sono visti soprattutto nei fatti, che riguardano la realizzazione del Pnrr,
I fatti ci dicono che lunedì mattina il decreto denominato Pubblica amministrazione andrà in aula alla Camera probabilmente con la fiducia. Quel decreto è diventato l’alibi per introdurre due norme (emendamenti) che fanno piazza pulita dei controlli intermedi sui progetti del Pnrr. L’obiettivo è sacrosanto: velocizzare la messa a terra delle opere.
Ma a quale prezzo? La Corte dei Conti è un organismo di rilevanza costituzionale il cui compito è il controllo contabile sulla spesa pubblica. L’arrivo del Pnrr ha consegnato alla magistratura contabile l’onere e l’onore del “controllo concomitante” su ogni rata del Pnrr. Per il ministro Fitto e per Meloni si tratta di un inciampo, un balzello burocratico che rallenta i lavori. Da spazzare via, dunque. “I controlli si fanno alla fine, non durante” la motivazione. Il professor Cassese ieri ha detto che i controlli “preventivi e concomitanti” rischiano di essere “l’esercizio di un potere”.
Chi ha ragione? La risposta si avrà solo alla fine del semestre quando la Commissione di verifica europea, dal cui dipende l’erogazione della rata (non è ancora arrivata quella di dicembre, 19 miliardi), dirà se gli obiettivi previsti sono stati raggiunti in modo congruo. Il problema è che se non sono stati raggiunti, non esiste un Piano B. “I ritardi non dipendono dai nostri controlli” ha ribadito il presidente Carlino che ha messo in guardia il governo “dall’aumento di atti illegittimi e ricorsi”. Carlino è anche “assolutamente contrario allo scudo per gli amministratori” negando che sia la “paura della responsabilità erariale a bloccare le firme necessarie alla realizzazione delle opere”.
Le firme non arrivano perché c’è “confusione legislativa, scarsa preparazione e organici ridotti”. Si tratta del secondo emendamento attaccato al vagone del decreto Pa. Anche questo è stato approvato a maggioranza. I decreti dovrebbero rispondere ai criteri di “necessità” e “urgenza” e dovrebbero anche essere omogenei nel testo. Il Capo dello Stato ha richiamato su questo punto, la scorsa settimana, i presidenti di Camera e Senato. Che pare abbiano detto: “Si Presidente, ha ragione”. Tre giorni dopo sono arrivati i due emendamenti. Come se nulla fosse.
E’ un governo fatto così: dice sì, poi fa come vuole e tira dritto. E’ la modalità autoritarismo di velluto. Come la fame di poltrone che ha il governo in relazione alle nomine. Vizio condiviso da ciascuna maggioranza. La differenza è che non può rientrare nel criterio lottizzazione o, ancora peggio, campagna elettorale la nomina del Commissario per la ricostruzione del post alluvione in Emilia Romagna. E poi c’è il problema immigrazione: 50 mila arrivi dall’inizio dell’anno, +150%. L’estate può solo accrescere i dati. La propaganda ha cancellato il problema. Ma il ministro Piantedosi è molto preoccupato. Anche perchè Salvini gli sta sul collo. Bello il 2 giugno. Anche se è stata una festa dimezzata.
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