Prima dell’intervento al Senato di Matteo Renzi, è stata la senatrice Emma Bonino a trovare le parole che meglio inquadrano il cortocircuito che si è riacceso tra magistratura, stampa e politica dopo l’inchiesta e la relativa fuga di notizie su Open. «Voglio dire con grande chiarezza – ha affermato Bonino – che i processi si fanno in tribunale; non si fanno né sulla carta stampata, né su Facebook, né da altra parte. E la presunzione di innocenza deve essere un caposaldo che non è a fasi alterne, per gli amici o per gli avversari, ma un caposaldo che difende tutti i cittadini. Sta ad altri provare la colpevolezza, non sta a me o a noi provare l’innocenza». La senatrice legge nella vicenda Open, un altro riflesso della cultura panpenalista che sembra essersi impadronita di ampia parte della politica populista, lontana dai principi garantisti. «È chiaro che in questo momento di confusione generale – ha aggiunto Bonino – questi principi saldi pare non esistano più: lo vediamo, ad esempio, nella prescrizione e in altri aspetti preoccupanti di una politica della giustizia “manettara”; è solo “manettara” o di inasprimento delle pene». «Ripeto – ha proseguito – i processi si fanno in tribunale». Qualche parola Bonino la spende anche sul tema della fuga di notizie, che spesso fa da anello di congiunzione tra magistratura e parte della stampa. «Non è una novità quella delle veline, di chi ha rapporti stretti con la magistratura, di chi fa trapelare le notizie. Però è un cattivissimo vizio in uno Stato di diritto e rispetto alla difesa dei diritti individuali dei cittadini», osserva Bonino.

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Che poi sposta il tiro sul vero convitato di pietra del caso Open, che tutti fanno finta di non vedere: il finanziamento ai partiti, e la loro sopravvivenza. «Credo che occorra dire con grande chiarezza che la politica – ha insistito Bonino – la buona politica è un valore e come tale costa. Come tale non è gratis, come tale non riesce a esserlo o si è in assenza di quei servizi messi a disposizione di tutti, dalle organizzazioni giovanili ai movimenti: parlo delle sedi ad esempio».  In un’Aula non particolarmente affollata, il dibattito vira sul finanziamento pubblico dei partiti. Una strada impercorribile per il M5s: «Da quando è arrivato il M5S è arrivata la trasparenza. Saremo sempre contrari al finanziamento pubblico», dice Sergio Romagnoli. «Non sono mancati in passato gli errori e le malefatte di alcuni che hanno fatto danni», ma un sistema di finanziamento pubblico «è necessario», è la replica del tesoriere del Pd, Luigi Zanda. Così come – gli fa eco la vicepresidente dem del Senato Anna Rossomando – bisogna «colmare la lacuna evidente» della mancanza «di una disciplina chiara delle attività di lobbying e del rapporto con i partiti e la politica».

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«Il tema della divisione dei poteri è centrale – interviene il senatore del Pd Andrea Marcucci – ha ragione Renzi a sottolinearlo. Non può essere una procura a definire cosa sia un partito e cosa una libera iniziativa politica. L’uso spettacolare della giustizia è uno dei mali cronici che affligge l’Italia». Il segretario del Psi, Enzo Maraio plaude al fatto che «dopo quasi 30 anni da Tangentopoli, la politica si interroghi di nuovo sul fatto che sia stato giusta o sbagliata l’abolizione del finanziamento pubblico». La Lega sottolinea con un applauso il passaggio dello stesso Renzi che definisce l’atteggiamento degli inquirenti «finalizzato a descrivere come criminale non il comportamento dei singoli ma qualsiasi finanziamento privato che venga fatto in maniera legale e regolare». «Matteo Renzi cita in aula il famoso discorso del luglio del ‘92. Il coraggio per averlo fatto va apprezzato. Il primo ex primo ministro a farlo dopo 25 anni.», è il commento di apprezzamento che Bobo Craxi dedica alla citazione riservata al padre Bettino da Matteo Renzi nel corso del suo intervento. «Un discorso monumentale», secondo il presidente della fondazione Dc, Gianfranco Rotondi. «Il discorso di Renzi mi sembra molto buono e molto coraggioso. Punto», è l’endorsement del leader di Azione, Carlo Calenda. Ma l’ex procuratore di Palermo, Giancarlo Caselli condanna senza mezze misure il leader di Italia Viva. «Questo – tuona – è un attacco alla magistratura, ha detto l’ex magistrato, e denuncia un atteggiamento ostile. Denunciare la magistratura in Senato fa sembrare che Renzi dimentichi la separazione dei poteri». «Renzi parla di barbarie – conclude Caselli – ma è un linguaggio muscolare, bellicoso, che non si confà alla sede prestigiosa del Senato. Non c’è barbarie».