All’ombra della guerra russo-ucraina, la Turchia pensa da Potenza e si muove nello scacchiere internazionale avviando una delle operazioni aeree più importanti degli ultimi anni. Quasi 70 velivoli, tra aerei da guerra e droni, hanno attaccato il Pkk nelle regioni settentrionali della Siria e dell’Iraq.

I bombardamenti sono una rappresaglia per l’attentato realizzato, secondo l’intelligence di Ankara, dall’organizzazione terroristica curda a Istanbul lo scorso 13 novembre. Nella prima ondata di attacchi l’Aeronautica turca ha colpito 81 obiettivi, stesso numero dei feriti causati dall’esplosione nella via commerciale İstiklal Caddesi.

Di rilevante importanza è la profondità territoriale dell’attacco turco: in Iraq gli aerei da guerra e i droni si sono infatti spinti fino a 140 chilometri nel confine straniero; in Siria sono stati bombardati, anche con l’aiuto dell’artiglieria, tutti i principali avamposti del Pkk, da Tall Rifaat a Derik tornando a colpire Kobane.

È quantomeno singolare pensare che un’offensiva di tale portata in territorio siriano sarebbe potuta essere stata messa in pratica senza l’assenso della Russia e del regime di Bashar al-Assad che non hanno fatto alzare in volo i propri aerei da guerra per ostacolare i turchi. La Siria non ha neppure condannato l’operazione, malgrado la morte di alcuni soldati dell’esercito lealista, segno che la riconciliazione tra Ankara e Damasco procede.

Chiave di volta dell’immobilismo siriano è stata probabilmente l’incontro di inizio settembre tra il capo dei servizi segreti turchi Hakan Fidan e il suo omologo Ali Malouk, in seguito al quale Erdogan si è detto disponibile a incontrare il presidente siriano Bashar al-Asad “al momento opportuno”.

Degna di nota la concomitanza di tempi che ha visto da una parte l’aeronautica turca bombardare il Pkk in Siria e Iraq e dall’altra, Erdogan stringere cordialmente la mano al presidente egiziano al-Sisi a Doha, letta dagli analisti come una conferma della volontà della Turchia di chiudere definitivamente le faide regionali innescate dalle cosiddette primavere arabe.

I tempi dell’offensiva non sono casuali. L’attuale impegno russo sul fronte ucraino (e l’Iran sconvolto dalle proteste) è stata un’opportunità colta al volo dai generali di Erdogan, mossa che lascia intravedere il nuovo approccio turco con il suo estero vicino per recuperare influenza sul regime siriano e indurlo a fare il lavoro sporco contro il Pkk.

Escludere definitivamente gli americani dalla Siria era lo scopo del vertice di Teheran del 19 luglio, quando le tre potenze si sono incontrate. Non è un caso che l’Iran abbia contestualmente bombardato molteplici obiettivi dell’ala iraniana del Pkk in Iraq. La Russia ha dichiarato di sperare che la Turchia eserciti “moderazione” e si astenga da “qualsiasi uso eccessivo della forza” in Siria. “Speriamo di convincere i nostri colleghi turchi ad astenersi dal ricorrere all’uso eccessivo della forza sul territorio siriano” per “evitare l’escalation delle tensioni”, ha detto alla stampa Alexander Lavrentiev, inviato speciale del presidente russo Vladimir Putin ad Astana, la capitale del Kazakistan dove si terrà un incontro tripartito tra Russia, Turchia e Iran sulla Siria.

A finire nel mirino dei militari turchi sono state Kobane, Ain Issa, Tel Rifaat, Derik e Derbasiye, ma anche Sulaymaniyya, Qandil e Shengal, contro cui l’aviazione ha sganciato le sue bombe. Il fuoco è stato particolarmente intenso su Derik e Kobane. La città simbolo della resistenza curda all’Isis ed è da tempo uno degli obiettivi del presidente Erdogan. In quest’area, la Turchia vorrebbe ricollocare almeno un milione di rifugiati, verso cui la popolazione è sempre più ostile e che costituiscono un problema per il successo elettorale del partito del presidente.

La possibilità di condurre un’operazione di terra per colpire ancora più duramente i curdi rischia di imporre un nuovo stop ai negoziati per l’acquisto degli F-16 in corso con gli Stati Uniti, contro cui si sono già espressi diversi senatori, sia Dem che Repubblicani. Il pericoloso gioco di Erdogan in Siria e in Iraq non sembra spaventarlo e non sembra nemmeno la mossa disperata per non perdere il potere, tutt’altro.

Riccardo Annibali

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