La Commissione europea ha prontamente utilizzato lo spazio apertole dalla proposta Merkel-Macron: possiamo già oggi concludere che la crisi Coronavirus sarà affrontata dall’Unione europea in modo assai diverso da quello con cui fu affrontata la Grande Recessione e la crisi del debito sovrano. Allora, il rifiuto di costruire almeno l’embrione di una politica fiscale dell’Euroarea, finì col privare le strategie di reazione alla crisi di uno dei suoi due fondamentali strumenti, anche dopo che la politica monetaria della Bce – sotto la direzione di Mario Draghi – aveva acquistato l’intonazione espansiva necessaria. Ora, con le scelte proposte dalla Commissione, politica monetaria e politica fiscale potranno finalmente camminare “mano nella mano”, rafforzandosi reciprocamente. Certo, il confronto che ora si aprirà con i quattro Paesi “egoisti“ (frugali sono le formiche previdenti contro le cicale scialacquatrici: i governi di Svezia, Olanda, Austria e Danimarca sembrano incapaci di guardare ai loro stessi interessi di lungo periodo), sarà difficile. E bisognerà che riesca a giungere rapidamente a conclusioni molto vicine alle proposte della Commissione, sostenute dai quattro grandi Paesi dell’Unione (Germania, Francia, Italia e Spagna).

L’Italia può svolgere, in questo contesto, una funzione decisiva. In primo luogo, concorrendo a disegnare – come ha proposto su queste pagine Renato Brunetta – una condizionalità degli interventi ispirata a obiettivi di comune interesse – l’economia verde, il rafforzamento del sistema sanitario, l’innovazione tecnologica, l’infrastrutturazione materiale e immateriale, il superamento della lentocrazia giudiziaria – l’Italia può dimostrare con i fatti (cioè, col suo Piano Nazionale di Riforme), di essere in grado di ridurre i rischi e di concorrere alla crescita di tutta l’Unione, utilizzando le risorse europee non solo e non tanto per risarcire (i decreti legge già emanati sono rivolti a questo), quanto per ripartire, cambiando quello che non abbiamo saputo/voluto cambiare prima. In secondo luogo, l’Italia può avere un ruolo determinante per sconfiggere – sul terreno della battaglia politico-culturale – l’offensiva di quanti hanno sempre fatto leva sulle dimensioni del nostro debito pubblico (e sulla mancanza di volontà dei governi italiani, spesso addirittura ostentata – legge di bilancio per il 2019 – di ridurlo), per rimandare all’infinito la progettazione e la realizzazione di una politica fiscale dell’Euroarea: «Condividere i rischi? L’Italia riduca prima quelli connessi al suo debito. Poi potremo parlare di bilancio dell’Area euro».

Una visione miope, che ha condotto ad adottare – durante la crisi dei debiti sovrani, nel pieno della Grande Recessione – politiche fiscali incoerenti con la politica monetaria, riducendo gli effetti positivi che quest’ultima avrebbe potuto avere sia sulla crescita, sia sull’occupazione.
Quale sia il contributo che, a giustificare questa miopia, hanno portato i partiti nazionalpopulisti italiani, viene ben evidenziato da un fatto di cronaca di questi stessi giorni: nel Parlamento italiano, proprio questa settimana, avrà inizio la discussione sul disegno di legge di riforma dell’articolo 81 della Costituzione, presentato dal presidente del gruppo della Lega. La proposta toglie dall’articolo 81 ogni riferimento all’equilibrio strutturale di bilancio, abrogando il primo, il secondo e il quarto comma. Elimina dalla Carta fondamentale qualsiasi riferimento all’osservanza dei vincoli economici e finanziari derivanti dall’ordinamento dell’Unione europea. E completa l’opera abolendo la legge 243 del 2012, che definisce le regole e le procedure per la concreta attuazione dell’articolo 81. La solita furia antieuro del solito Borghi? No, l’iniziativa reca anche la firma del capogruppo alla Camera, ed è quindi assunta in prima persona dal leader leghista.

Ora, secondo tutti i sondaggi – e secondo tutte le elezioni: europee, regionali e locali, tenutesi in Italia dal 2018 ad oggi – il partito di Salvini, oggi fuori dal governo, è tuttavia nettamente il partito di maggioranza relativa. Di più: Salvini, forte di questi risultati, è il leader di un più ampio schieramento di centrodestra, in grado di affermarsi come schieramento di governo del Paese alle prossime elezioni, quando si terranno. Se il maggiore partito italiano propone – proprio ora, quando in Europa prende concreto avvio la costruzione di una politica di bilancio comune – di cancellare dalla Carta ogni riferimento alla disciplina di bilancio e alla regolazione europea, l’assist per i governi di Olanda, Austria e compagnia non potrebbe essere più ghiotto. È come se già potessimo sentire l’argomento principe dei loro discorsi: politica fiscale comune, mentre il possibile leader del prossimo governo italiano propone addirittura di togliere dalla Costituzione l’equilibrio strutturale di bilancio? Ripensateci, finché siamo in tempo…

Non si dica che si tratta di una iniziativa meramente agitatoria, buona per fare un po’ di propaganda sfruttando l’antieuropeismo diffuso, ma non corrispondente a una reale intenzione politica. Né che si tratta di una innocua concessione del leader agli antieuropeisti più accesi del suo partito, per “farli giocare” un po’ con la fuoriuscita dell’Italia dall’euro, in attesa di fare tutto il contrario una volta tornato al governo. Dopo i minibot, il ritorno di Banca d’Italia “agli ordini” (di acquisto di titoli) del Tesoro, la proposta di usare l’oro di Banca d’Italia per pagare il debito (e farne dell’altro), cos’altro dovrà proporre Salvini perché tutti si prenda atto di una verità drammatica: l’ostilità all’Unione europea, alla moneta unica e all’integrazione costituisce non un orpello, ma un architrave del progetto leghista?

Salvini non può non rendersi conto che una proposta come quella che avanza sull’articolo 81 della Costituzione costituisce un formidabile argomento nelle mani dei governi “egoisti”, impegnati a impedire ogni passo verso il bilancio comune dell’Euroarea. Se non esita a presentarla ora è esattamente perché capisce che il confronto in corso potrebbe portare a una svolta di rilievo storico: il potere di bilancio ha avuto e ha carattere costituente nella costruzione dei moderni sistemi politici democratici. L’integrazione delle politiche fiscali – entrate autonome dell’Unione che finanziano spese decise autonomamente dall’Unione – è un passo decisivo verso una effettiva e originale integrazione politica. Un rischio esiziale per la prospettiva nazionalpopulista di Salvini (e della sua alleata Meloni). Per scongiurarlo, Salvini è pronto a tutto: anche a una esplicita connivenza con i governi che vorrebbero che l’Italia fosse lasciata sola. Del resto, non è Salvini quello che… «ce la possiamo fare da soli»?