Guardiamo le cose come stanno, al netto e sulla scorta di tentativi di dare un corpo e un perimetro a quell’area liberaldemocratica e popolare che non solo a noi piace, ma che esiste numeri alla mano. C’è un bipolarismo che fa storcere il naso, ma che al momento è oggettivamente ineluttabile. Muoversi al suo esterno appare difficile, mentre al suo interno pone necessariamente condizioni dettate dai differenti pesi delle sue componenti. Si potrà fare i riformisti nel centrosinistra, alla fine di un percorso che ora pare tortuoso, ma è giusto chiedersi quanto riformismo già abiti nel centrodestra e quanto ve ne potrà essere, se si vuole che quell’idea davvero possa condizionare la politica del Paese.

Quanto pesano le parole di Marina Berlusconi

Il luogo è storicamente Forza Italia, da osservare e valutare, a maggior ragione ora che – orfana del suo fondatore, Silvio Berlusconi, che rimane la presenza di rottura che ha fatto entrare con prepotenza la richiesta liberale nella seconda repubblica – deve essere partito, con strutture gerarchie e aree di influenza. I territori che esprimono necessità, le autonomie di pensiero all’interno della coalizione, le influenze esterne: quanto contano gli iscritti? Quanto pesano le parole di Marina Berlusconi? E poi, quali sono i progetti per quella Milano che resta il “centro del centro” e nella quale nata la storia tessa di Forza Italia, con le sue eredità socialiste e popolari? Ce lo chiediamo, naturalmente, centrando sulla visione della metropoli e il suo futuro. Chiedersi da che parte debba stare il riformismo sarebbe un grave errore. Il dovere è chiedersi sì quanto riformismo si possa costruire, ma anche quanto già ve ne sia.

Sergio Scalpelli

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