Il viaggio in Mongolia segna una nuova e particolare tappa del pontificato di Francesco. Lo sguardo è diretto verso la piccola e vivace comunità cattolica del Paese asiatico, poco più di un migliaio di anime e di recente elevata agli onori della cronaca con la nomina a cardinale di Giorgio Marengo, prefetto apostolico della capitale Ulan Bator. Il portavoce della Sala stampa vaticana, Matteo Bruni, ha sottolineato la centralità della comunità cattolica locale ribadendo che il Santo Padre “va in Mongolia soprattutto per parlare a loro, per incoraggiarli” e che “parlerà del contributo che i cattolici possono dare alla società”. Contributo che potrebbe riguardare anche uno dei temi più delicati della vita quotidiana di Ulan Bator, l’inquinamento. La capitale mongola, infatti, è nota come una delle città più inquinate del mondo, oggetto di continui allarmi della comunità scientifica per la quantità di smog che si respira in particolare nei mesi più freddi.

Francesco, da sempre molto attento sul fronte ambientale come dimostrato del resto dalla pubblicazione dell’enciclica Laudato sì, potrebbe quindi puntare nei vari incontri anche su questo tema. Uno dei più caratterizzanti del pontificato di Francesco insieme a quello del dialogo interreligioso, che sarà al centro dell’incontro di domenica 3 settembre in cui parteciperà anche il parroco della chiesa ortodossa russa di Ulan Bator. Tuttavia, oltre al naturale e imprescindibile valore pastorale del viaggio apostolico, non sfugge anche il simbolismo geopolitico della visita di Papa Francesco.

La Mongolia, incastonata nel cuore della steppa, è racchiusa tra i due giganti del continente, Cina e Russia, e sempre più oggetto di interesse degli Stati Uniti, che cercano nel Paese asiatico una sponda commerciale e strategica nel continente. Agli inizi di agosto, il primo ministro mongolo, Luvsannamsrain Oyun-Erde, si è recato in visita a Washington dove ha incontrato anche la vicepresidente degli Stati Uniti, Kamala Harris. Sul tavolo in particolare l’interesse degli Stati Uniti per le terre rare, elementi di cui la Mongolia è ricca e che sono sottoposte a un monopolio di fatto da parte della Cina che preoccupa Usa ed Europa. Il governo mongolo ha fatto intendere di non essere interessato a entrare in una pericolosa competizione con Pechino e ha avvertito della necessità di superare qualsiasi scenario da Guerra Fredda.

In ogni caso, Casa Bianca e Dipartimento di Stato hanno palesato il loro interesse ad approfondire i legami con Ulan Bator, consapevoli anche della indubbia capacità attrattiva degli investimenti occidentali in un Paese che si sente partner naturale ma anche obbligato tanto di Mosca quanto di Pechino. La Mongolia, nello scacchiere asiatico, si trova infatti in una posizione tanto fondamentale quanto scomoda. Cerniera tra le due superpotenze, di cui è anche un potenziale passaggio obbligato per le risorse scambiate tra i due “alleati senza limiti”, Ulan Bator vuole mantenere i legami più che solidi costruiti tanto con il partner settentrionale quanto con quello meridionale. Tuttavia, la Mongolia vuole provare anche a svincolarsi da un accerchiamento naturale che può diventare claustrofobico, soprattutto in assenza di uno sbocco sul mare che le eviti la condizione di dipendere dai vicini.

L’arrivo di Papa Francesco può assumere quindi un carattere profondamente simbolico sia per il Paese che per il Vaticano. Da un lato per l’ascesa della Mongolia come Paese che cerca di rendersi sempre più un protagonista dello scenario continentale. Dall’altro lato, la centralità geografica della Mongolia può essere il riflesso di quel desiderio del pontefice di dialogare tanto con la Russia quanto con la Cina. E a questo proposito, molti osservatori sottolineano l’attesa per il telegramma che Francesco invierà a Xi Jinping quale leader di uno dei Paesi sorvolati dall’aereo della Santa Sede per raggiungere la meta del viaggio apostolico. Una consuetudine che in questa occasione ha un significato ancora più strategico. Jorge Mario Bergoglio non ha mai negato di volere visitare nel futuro la Repubblica popolare cinese.

Il segretario di Stato Vaticano, cardinale Pietro Parolin, ha ricordato che “tutti conoscono l’interesse che Papa Francesco porta per la Cina”. E rispondendo a una precisa domanda su un possibile viaggio di Francesco nella Repubblica popolare, Parolin ha confermato il sogno del pontefice di recarsi nel Paese “sia per visitare la comunità cattolica ed incoraggiarla nel cammino della fede e dell’unità, sia per incontrare le Autorità politiche, con le quali la Santa Sede ha stabilito da tempo un dialogo, nella fiducia che, nonostante le difficoltà e gli ostacoli che ci sono nel cammino, proprio per questa via del dialogo e dell’incontro, più che per quella dello scontro ideologico, si possano raggiungere frutti di bene per tutti”.

Tra questi frutti, quello che la diplomazia vaticana sta cercando di cogliere anche attraverso il dialogo con la Cina è quello della pace in Ucraina. La prossima tappa della missione di pace del presidente della Conferenza episcopale italiana, cardinale Matteo Zuppi, dovrebbe essere proprio Pechino. E forse anche per questo motivo l’avvicinamento di Francesco ai confini dell’Impero di Mezzo può essere un segnale diplomatico da non sottovalutare nei confronti di Xi e del suo governo. Nella “offensiva di pace” lanciata dal pontefice per l’Ucraina, il viaggio apostolico in Mongolia può essere un passaggio nient’affatto secondario.

Lorenzo Vita

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